Patto di stabilità, Meloni vede spiragli ma non esclude veto

(Adnkronos) – La mossa a sorpresa è il fax sventolato in Aula, prova, dice, che fu il governo Conte due -quindi trainato da Pd e M5S- a dare disco verde al Meccanismo europeo di stabilità, “pacco che il governo Conte” ha lasciato ai posteri. Giorgia Meloni torna in Aula, stavolta al Senato dopo l’exploit di martedì a Montecitorio, e torna a battagliare con le opposizioni -su tutte il M5S- ma anche a ribadire che su Mario Draghi c’è stato un misunderstanding. “Nessun attacco”, assicura: “non bisogna ribaltare il quadro. Forse vi sfugge ma su un treno per Kiev sono salita anche io”, martedì in Aula “mi riferivo al fatto” che in passato “c’è stata un’Italia che ha ritenuto che tutto il suo ruolo dovesse essere accodarsi a Francia e Germania e mettersi in fila per una fotografia. Io non credo che questa sia politica estera”, dice lei, che rinunciò persino al ricevimento organizzato a New York dal Presidente statunitense Joe Biden per cenare con la figlia e il suo staff.  

Con il suo predecessore, a quanto si apprende da fonti autorevoli, c’è stato un chiarimento, del resto i due non hanno mai smesso di sentirsi, soprattutto via Whatsapp, abitudine inaugurata ai tempi di Draghi a Palazzo Chigi e Meloni all’opposizione, unica voce fuori dal coro. Facile che Meloni e l’ex numero uno della Bce si siano sentiti in questi giorni anche per confrontarsi su quel che accade sui tavoli negoziali europei, dove si giocano partite decisive per il futuro dell’Unione: da un lato la revisione del bilancio pluriennale della Ue, dall’altra le regole del gioco da riscrivere con un nuovo Patto di stabilità e crescita. Rispetto al quale la premier vede “qualche spiraglio”, benché riconosca si tratti di una “trattativa complessa”, con “posizioni distanti”, a partire dal pugno duro della Germania di Olaf Scholz, si toglie il sassolino dalla scarpa rivolta a chi le rimproveri l’amicizia con Viktor Orban.  

E per la prima volta in Aula Meloni agita il fantasma del “veto dell’Italia” all’accordo: “non escludo nessuna scelta, credo che alla fine si debba dare una valutazione di ciò che è meglio per l’Italia, sapendo che se non si trova un accordo noi torniamo sui parametri precedenti”, mette in guardia. 

La premier, appunti segnati a penna alla mano, difende a spada tratta l’operato in politica estera -“abbiamo riportato l’Italia al centro”, autoincensa il suo governo- un merito che le viene riconosciuto, sostiene, anche dagli altri leader europei. E qui apre un piccolo giallo, raccontando di un collega che gliene aveva riconosciuto il merito in un’intervista a un giornale non propriamente amico, per poi vedere cancellare il virgolettato su di lei con un colpo di bianchetto. Tutti, tra Aula e transatlantico, si domandano chi sia il signor X in questione, ma bocche cucite nello staff della presidente, che sabato prossimo -a proposito di leader ‘amici’- riceverà a Palazzo Chigi Rishi Sunak e Edi Rama, entrambi ospiti della festa di Atreju targata Fdi. 

Ma sabato è lontano, prima attendono la presidente del Consiglio giornate di fuoco a Bruxelles. E nella trattativa che la vede al tavolo, Meloni rimprovera all’opposizione di non fare il gioco dell’Italia, ma di remare contro. Ne ha per tutti la premier, ma soprattutto ne ha per il M5S di Giuseppe Conte. E’ al Movimento che riserva infatti gli affondi più duri. A partire da quello sul Mes. Dopo l’attacco di martedì alla Camera, la premier rincara la dose mostrando il documento che, per lei, inchioda il governo giallorosso alle sue responsabilità.  

Si tratta del fax inviato all’ambasciatore Maurizio Massari, rappresentante permanente d’Italia presso la Ue, dall’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in cui c’era nero su bianco l’autorizzazione a siglare il Mes. “Negate che il governo Conte abbia alla chetichella dato l’assenso alla riforma del Mes, e ho portato qui un bel fax in cui Luigi Di Maio firma l’autorizzazione alla riforma del Mes”, attacca la premier, mentre nel Movimento gli antichi rancori verso l’ex capo politico tornano a farsi spazio: ‘chissà che il documento non lo abbia girato lui a Meloni…’, punge qualche parlamentare di nuovo corso nei capannelli che si raccolgono in transatlantico. 

Meloni in Aula va avanti a muso duro. “Io farò sempre la mia parte per ricordare le politiche disastrose” di governi “precedenti che noi siamo chiamati a riparare. L’austerità? Noi abbiamo smesso di buttare i soldi degli italiani dalla finestra” con spese come quelle per “superbonus” e “banchi a rotelle. Non è austerità ma serietà”, rivendica, “ed è il motivo per cui gli italiani hanno chiesto a noi di governare e a voi di fare un passo indietro”.  

Per lei il suo esecutivo ha ben poco da rimproverarsi. La sanità vanta risorse record, dice, anche rispetto al governo colto dalla pandemia. “Non devo ricordare ancora una volta – rivendica – al di là di quello che si ripete come un mantra con un piccolo escamotage tecnico, il fondo sanitario arriva quest’anno al massimo di risorse mai avute. E vi spiego qual è il piccolo escamotage tecnico che vi consente di dire che non è vero che ci sono 10 miliardi in più di quando c’eravate voi al tempo del Covid nonostante 180 miliardi spesi a debito: la ragione per cui si fa sempre il rapporto percentuale con il Pil è che quando governava la sinistra il Pil crollava e con noi il Pil cresce e quindi la percentuale cala”. 

Meloni tira fuori dal cilindro la teoria del ‘dead cat bounce’, nota nel mondo della finanza. “Quello che è accaduto mentre si usciva dalla pandemia, in economia si definisce il ‘rimbalzo del gatto morto’ – dice con un sorrisetto disegnato sul volto -: se si getta un gatto dalla finestra e il gatto muore, rimbalza. Il Pil nell’anno precedente era sprofondato più di quanto fossero sprofondati i Pil del resto d’Europa, un dato di cui, fossi un esponente del M5S, non mi vanterei”.  

Durissima col Movimento, chiude le sue repliche puntute con un attacco ai dem. “Si cerca di fare tutto il possibile per smontare il lavoro faticoso” fatto dal governo sul fronte dei migranti. “Mi ha colpito la reazione del Pd”. Sull’accordo con l’Albania, che “non viola il diritto internazionale”, “io sono rimasta basita quando qualcuno ha paventato l’espulsione di Rama dal partito socialista europeo per aver osato di aiutare l’Italia. Questo la dice lunga sul punto di vista che si ha sull’anteporre gli interessi di partito a quelli della nazione. Io credo che gli interessi della nazione vadano anteposti a quelli di partito, non è quello che ho sempre visto a sinistra”.  

Lascia il Senato in silenzio, diretta al Quirinale per il tradizionale pranzo offerto dal Presidente della Repubblica alla vigilia di ogni Consiglio europeo. Poi è arrivata a Bruxelles, dove l’attende la battaglia più dura. Con le opposizioni che l’attendono al varco, pronte a presentare il conto. 

(Adnkronos)