Pentito rivela: “Gli incontri di La Barbera nello scantinato”

(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) 

L’ex dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, morto nel 2002, “nei primi anni Novanta era a disposizione della famiglia mafiosa dei Madonia. Mio zio Pino Galatolo lo incontrò più volte, da solo, in uno scantinato di vicolo Pipitone”. La rivelazione arriva a metà udienza del processo d’appello sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio, quando, per la prima volta, il collaboratore di giustizia Vito Galatolo, ex ‘picciotto’ della famiglia mafiosa dell’Acquasanta, ascoltato, in videocollegamento, parla di un presunto incontro “in uno scantinato” tra lo zio, il boss mafioso Giuseppe Galatolo e l’ex capo della Mobile e poi Questore Arnaldo La Barbera. Davanti alla Corte d’appello di Caltanissetta si ritrovano nuovamente alla sbarra i tre poliziotti del gruppo ”Falcone e Borsellino” accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra. A rappresentare l’accusa sono i sostituti procuratori generali Antonino Patti e Gaetano Bono. E’ stato applicato dalla Procura anche il pm Maurizio Bonaccorso, che ha rappresentato l’accusa in primo grado, dopo l’addio di Stefano Luciani e Gabriele Paci, andati rispettivamente a Roma e Trapani. Nella sentenza di primo grado, emessa il 12 luglio del 2022, era caduta l’aggravante mafiosa per due dei tre poliziotti imputati del processo depistaggio Borsellino: prescritti i reati per Mario Bo e Fabrizio Mattei, mentre Michele Ribaudo era stato assolto. Il poliziotto Ribaudo era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Erano tutti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.  

Galatolo ha più volte ribadito di avere visto La Barbera “in vicolo Pipitone”, luogo dell’Acquasanta dove si riunivano i boss mafiosi negli anni Ottanta e Novanta. Ma non aveva mai parlato degli incontri “nello scantinato” tra lo zio, ai domiciliari, e La Barbera. Il poliziotto era a capo del gruppo investigativo che indagava sulle stragi mafiose, di cui facevano parte i tre poliziotti oggi imputati. La Procura generale tenta di dimostrare che Arnaldo La Barbera avrebbe depistato le indagini su via D’Amelio per favorire Cosa nostra. Il pentito Galatolo, nella sua deposizione, ha confermato in videoconferenza quanto già aveva detto la scorsa udienza un altro collaboratore, Francesco Onorato: “Salvatore Biondino mi aveva ordinato di uccidere La Barbera, ma poi l’ordine fu ritirato, proprio perché quel poliziotto era vicino ai Madonia”, aveva detto. Già in primo grado Onorato e Galatolo avevano ripetuto queste dichiarazioni ma i giudici del tribunale le avevano ritenute generiche e prive di riscontri. Adesso la Procura generale ha chiesto e ottenuto di riascoltare i due collaboratori.  

“Quando io facevo la sentinella a Vicolo Pipitone, nel nostro covo, fino a a poco prima delle stragi del ’92, ricordo che venivano anche degli appartenenti alle istituzioni. Ricordo che c’era un maresciallo dei Carabinieri, che era al libro paga della famiglia dell’Acquasanta. Era lui che ci avvisava delle cose che accadevano. Da noi veniva anche Giovanni Aiello ‘faccia da mostro’. Era stato mio zio Giuseppe Galatolo a dire chi era e che Aiello lavorava per lo Stato. Ma finché non ho collaborato non sapevo chi fosse, lo chiamavamo ‘faccia da mostro’ perché ci faceva paura”, ha proseguito. Giovanni Aiello era un ex poliziotto della Squadra Mobile di Palermo con passato nei servizi, conosciuto alle cronache come “Faccia da mostro” e finito al centro di alcune vicende controverse. E’ morto d’infarto nel 2017.  

Giovanni Aiello era stato iscritto nel 2015 nel registro degli indagati con i boss Gaetano Scotto e Salvino Madonia. Per i capi mafia la procura aveva chiesto l’archiviazione, ma il giudice respinse l’istanza ordinando nuove indagini tra le quali il confronto fra il padre della vittima e Aiello. “Faccia da mostro”, funzionario dei servizi segreti in attività a Palermo negli anni Ottanta, fino alle grandi stragi del 1992, era stato riconosciuto nel febbraio del 2016 da Vincenzo Agostino, padre del poliziotto di Palermo, Antonino, ucciso con la moglie Ida Castellucci il 5 agosto del 1989. “E’ lui, è quello che mi sta guardando”, avrebbe detto Agostino, che dal giorno dell’omicidio di suo figlio non si è mai più tagliato la barba. L’ex agente segreto sarebbe colui che prima del delitto sarebbe stato visto vicino alla sua abitazione. Uscendo Agostino confermò di averlo riconosciuto “anche se era ben truccato”. Giovanni Aiello “faceva parte dei servizi segreti deviati. Io l’ho visto più volte in vicolo Pipitone, all’Acqusanta. Veniva spesso nel periodo tra l’84 e l’85, fino all’arresto di Madonia”, ha poi aggiunto Galatolo.  

Poi, Galatolo ha citato anche altri esponenti delle istituzioni che avrebbero frequentato la famiglia mafiosa dell’Acqusanta. “Veniva anche Bruno Contrada. Poi c’erano personaggi che venivano a cercare latitanti, venivano due poliziotti, tali Agostino e Piazza, che venivano a cercare chi entrava e usciva. Il nostro compito da sentinelle era avvisare e farli scappare”. In particolare, parlando di Arnaldo La Barbera, Galatolo sottolinea che “venne diverse volte in vicolo Pipitone a Palermo, quando mio zio Giuseppe Galatolo era agli arresti domiciliari”. “In due occasioni, mio zio Giuseppe si ritirò a parlare con La Barbera in uno scantinato. Veniva di sera e non di giorno. Una di queste volte è entrato nel vicolo e uno dei miei cugini gli ha fatto segnale di andare avanti ma lui fece capire che già sapeva dove doveva andare. Nella mia famiglia si diceva che La Barbera era uno che ‘mangiava peggio degli altri'”. La Barbera era a disposizione dell’Acquasanta e del mandamento dei Madonia”, ha proseguito.  

E ha ricordato la morte del giovane Girolamo Fasone, morto nel 1991 mentre tentava una rapina nel centro di bellezza in cui si trovava allora La Barbera. E del tentativo di uccidere La Barbera, tentativo che però venne bloccato dai vertici di Cosa nostra. “Nel 1991, dopo che Arnaldo La Barbera uccise il mio amico Mimmo Fasone nella rapina nel centro di bellezza, noi volevamo dargli un colpo di legno, volevamo punirlo ma fummo bloccati. Ci hanno mandato a dire di non pensarci completamente. Perché Madonia ci teneva a lui”. “Mi ricordo che Mimmo Fasone era un ragazzo in gamba. Tra il 22 e il 23 dicembre del ’91 ci eravamo scambiati gli auguri di Natale poi, ai primi di gennaio del ’92, successe questa cosa che fu ucciso dal dottor La Barbera”, ha detto Galatolo. All’epoca La Barbera era il dirigente della Squadra Mobile.  

“Quando il giornale pubblicò la notizia che Arnaldo La Barbera aveva ucciso Mimmo Fasone ci fu tanta rabbia, perché comunque un ragazzo giovane era stato ucciso. E si cominciò a dire di ‘andare a rompere le corna’ a questo La Barbera’. Dicevamo ‘ma come si è permesso a uccidere questo ragazzo?’. Ma poi mio cugino Angelo e i miei zii disse che non si poteva fare perché Madonia teneva a lui”.  

Non sono mancati i momenti di tensione tra il pentito Vito Galatolo e l’avvocato Giuseppe Seminara, legale dei poliziotti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Il legale ha contestato al collaboratore delle dichiarazioni divergenti rispetto a quelle rese nel processo di primo grado. E Galatolo si è più volte lamentato. Il Presidente Giovambattista Tona ha ripreso sia il difensore che il collaboratore, l’avvocato Seminara ha risposto: “Presidente, non siamo sullo stesso piano il signor Galatolo e io, io sono l’avvocato”. In particolare, il legale ha contestato al pentito di avere cambiato versione sulla decisione di uccidere Arnaldo La Barbera. In primo grado aveva detto che lo stop era arrivato dallo zio Giuseppe Galatolo “che era ai domiciliari”. Oggi, invece, ha ribadito che lo zio era “in carcere”. Dopo la contestazione, ha detto: “Mi sono confuso, ma confermo quello che ho detto oggi. In quel momento mio zio era in carcere. E da lì arrivò il divieto di uccidere La Barbera”.  

A inizio udienza il pentito Galatolo ha ricordato la sua escalation criminale, spiegando di avere iniziato a fare parte di Cosa nostra “fin da bambino”. “Sono stato ‘combinato’ nel carcere Pagliarelli nel 2010, mentre ero detenuto. All’epoca il capomandamento Rosario Lo Bue reggeva Corleone. Eravamo tutti in carcere. Già all’eta di 11 anni facevo la ‘sentinella’ al vicolo Pipitone di Palermo, per vedere se arrivavano macchine della Polizia. Era il nostro covo. Da piccolini eravamo sempre a disposizione. Nella nostra famiglia non c’era bisogno che diventassi uomo d’onore per reggere la famiglia”, ha detto. “Sono stato Capomandamento di Resuttana che comprende le famiglie mafiose di Acquasanta, Arenella e Vergine Maria- ha detto – Nella mia famiglia eravamo famiglia di sangue ma anche famiglia e di Cosa nostra. Mio zio, Giuseppe Galatolo era un libro aperto, se fosse stato per lui potevamo fare gli uomini d’onore anche a 15 anni. Si faceva di tutto. Nel vicolo Pipitone si nascondevano armi, poi nel 1990 si sapeva chi pagava le estorsioni, avevamo interessi al mercato ortofrutticolo, ai cantieri navali”. Alla fine dell’udienza, dopo le ore 20, arrivano le scuse del collaboratore al Presidente della Corte, Giovambasstita Tona, per il comportamento durante la deposizione. “Presidente chiedo scusa però quello che ho capito io è che gli avvocati sanno che sono un pochino frizzantino e lo fanno apposta a farmi arrabbiare”, ha chiosato. La prossima udienza si terrà il 30 gennaio, per ascoltare l’ex funzionario di Polizia Gioacchino Genchi. 

(Adnkronos)