Ridusse in fin di vita la compagna, condannato a 14 anni

(Adnkronos) – Il primo maggio del 2021 ridusse in fin di vita la sua compagna colpendola con calci brutali, spintoni, schiaffi, pugni. Oggi Salvatore Celano, 45 anni, di Caccamo, è stato condannato a 14 anni di carcere dal gup del Tribunale di Termini Imerese (Palermo), Claudio Bencivinni. La donna, di 40 anni, Roberta P., originaria di Pavia, a distanza di quasi due anni dalla brutale aggressione, cammina a fatica con il tutore, è costretta ad essere imboccata e a essere cambiata più volte al giorno. Ma, soprattutto, ha riportato gravissimi danni cerebrali e neurologici. Irreversibili. La donna, rappresentata in aula dalla legale di parte civile, l’avvocata Cinzia Di Vita del Foro di Termini Imerese, dopo il ricovero in ospedale, con una grave emorragia cerebrale e numerose lesioni, prima di entrare in coma, aveva raccontato ai medici di essersi fatta male cadendo dalle scale. Ma le indagini condotte dai carabinieri, che furono chiamati dai medici del Pronto soccorso dell’ospedale Civico di Palermo, avevano accertato un’altra verità: le ferite riscontrate sul corpo e sul viso, tumefatto, della donna non sarebbero state assolutamente compatibili con una caduta. Da qui una inchiesta che dopo poche settimane portò all’arresto del compagno della donna. 

Roberta P. viveva in casa, a Caccamo, con il compagno Vincenzo Celano e con uno zio malato dell’uomo, a cui faceva da badante. Secondo gli investigatori, la vittima sarebbe stata picchiata a sangue la sera del primo maggio 2021, ma sarebbe stata trasportata in ospedale solo due giorni dopo, la notte del due maggio, quando le sue condizioni si sono molto aggravate. 

Il 17 maggio del 2021 scattarono le manette per Celano, che nel frattempo è tornato in libertà. A eseguire l’ordinanza di custodia cautelare i carabinieri della stazione di Caccamo e della sezione operativa della compagnia di Termini Imerese. L’uomo era stato arrestato per tentato omicidio. Secondo quanto emerso dalle indagini, coordinate dalla pm di Termini Imerese Elvira Cuti, l’uomo avrebbe maltrattato la sua compagna per anni, prima del tragico epilogo del primo maggio 2021. Come si legge nelle chat whatsapp tra i due erano numerosi i messaggi “dal contenuto offensivo e minaccioso”, come dice la pm, all’indirizzo della donna. “Ti stacco la testa”, oppure “Ti gonfio”, e ancora: “Devi morire in strada, mi fai schifo, infame”. “Mi sto incazzando e ti prendi il resto, ti ammazzo se vieni”. Oppure “Ti gonfio come un pallone”. 

Poi arriva il primo maggio del 2021, quando l’uomo la picchia con violenza brutale fino a lasciarla sanguinante, con una emorragia cerebrale. Anche se la donna arriverà in ospedale solo dopo due giorni. “Fatto commesso per futili motivi – scriveva il pm nella richiesta di rinvio a giudizio – consistiti nel non avere svolto correttamente le faccende domestiche e non non avere cucinato pietanze che soddisfacessero i gusti di Celano”. La donna si presentò il 3 maggio in ospedale con “una tumefazione con ematoma dell’occhio sinistra, ematoma all’orecchio sinistra, della mandibola sinistra, ematoma in sede inguinale bilateralmente”, come si legge nel referto medico. Nonché “ampio focolaio di infarcimento emorragico temporo-parietale destro con shift della linea mediana”, da cio “è derivata una malattia che ha messo in pericolo la vita della persona offesa, rimasta ricoverata in progonosi sulla vita dal 3 maggio a 30 maggio 2021”, scriveva la pm.  

Non solo. L’uomo è accusato anche di omissione di soccorso perché “nonostante già dopo poche ore dall’aggressione la donna manifestasse chiari sintomi di un trauma encefalico, quali sonnolenza e difficoltà nell’eloquio” al punto “da fare le proprie deiezioni sul letto su cui era distesa”, l’uomo non chiamò i soccorsi “pur avendo l’obbligo giuridico di farlo” e questo ha “provocato un aggravamento della sindrome neurologico acuta dovuta all’aggressione del giorno precedente”.  

Alla mezzanotte del 2 maggio l’uomo ha allertato i soccorsi “evitando cos’ la morte della donna” ma che “comunque ha riportato lesioni permanenti con deficit cognitivo e tetraparesi oltre a incontinenza sfinterica”. La donna è sempre stata assistita dalla madre, rappresentata in aula dall’avvocata Olga Moscato. Oggi è arrivata la condanna a 14 anni per l’uomo, che è tornato a vivere a Caccamo, dove è disoccupato. Il gup Bencivinni ha riqualificato il capo di imputazione da lesioni gravi a lesioni gravissime. (di Elvira Terranova) 

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