“La vicenda è stata chiarita: il fatto non sussiste e tutti i tribunali ci hanno dato ragione. Non abbiamo voluto partecipare perché non serve, non ne capiamo il motivo”. Lo afferma all’Adnkronos Luciano Giugno, marito di Marisa Pucci, una delle maestre finite nel 2007 nell’inchiesta su presunti abusi su bambini della scuola materna ‘Olga Rovere’ di Rignano Flaminio e poi assolte, in vista dello speciale in due serate ‘Lo scandalo di Rignano Flaminio’ che andrà in onda oggi e domani su Crime+Investigation su Sky.
“Queste cose non vanno discusse in tv, ma in parlamento”, sottolinea Giugno secondo il quale anche alla luce di altri casi, come l’inchiesta ‘Veleno’ o Bibbiano, “si dovrebbe parlare della Carta di Noto, dovrebbe essere obbligatoria per le audizioni dei bambini”.
“La nostra è una storia assurda, che può capitare a tutti, la scuola di Rignano era stata anche premiata come modello. Non c’è nessuna ombra, nessun lato oscuro: le sentenze sono limpidissime – sottolinea il marito della maestra – Hanno messo telecamere, ci sono state perquisizioni, non c’è stata mezza prova. Il Riesame ha liberato subito le maestre, tutti i tribunali poi ci hanno dato ragione. Siamo stati risarciti”.
“Non c’è stato il minimo di buon senso. Ci sono stati 400 testimoni, è stato preso tutto in esame e lati oscuri non ce ne stanno”, continua Giugno puntando il dito contro il modo in cui sono state svolte le indagini: “Sarebbe bastato guardare gli orari: mia moglie faceva il tempo corto, l’entrata dei bambini era tra le 8 e le 9, alle 10 portavano la ricreazione, poi mia moglie portava i bambini in giardino e alle 12.30 arrivava già il pulmino per prenderli. Come potevano avere il tempo di lasciare la classe scoperta, uscire dalla scuola e portarli in campagna?”, si chiede facendo riferimento al fatto che, secondo l’accusa, i presunti abusi sarebbero avvenuti durante l’orario scolastico e fuori dall’istituto.
“Mia moglie ora è pensione”, racconta all’Adnkronos Giugno aggiungendo però che al termine della vicenda giudiziaria e nonostante l’assoluzione le maestre “sono state sbattute a fare lavoro di ufficio. Dopo aver lavorato 25 anni”.
“Quello che abbiamo passato è stato un trauma per le nostre figlie, è stata distrutta la loro adolescenza. Ora ci stiamo riprendendo, ma questa cosa ci turba: non è lo scandalo di Rignano, è lo scandalo della giustizia”, conclude riferendosi a come sono state condotte le indagini.
Nessuna volontà di aprire un caso ma solo l’esigenza di fotografare con distacco e senza tesi precostituite quello che avvenne a Rignano Flaminio il 9 luglio di 15 anni fa. Simone Manetti, regista dello speciale ‘Lo scandalo di Rignano Flaminio’ spiega all’Adnkronos che la volontà di tornare su una vicenda “ormai chiusa dal punto di vista giudiziario, nasce dal desiderio di raccontare una storia che, con tutte le sue crepe e le sue sofferenze, andava raccontata per mantenere viva la memoria di quello che era successo in quel paesino alle porte di Roma”. L’impianto narrativo, spiega il regista, “è quello del documentario con un approccio ‘atesico’ che si basa su quelli che sono stati i tre gradi insindacabili di giudizio che hanno assolto gli imputati ‘perché il fatto non sussiste’. Quindi non c’è alcuna volontà di aprire un caso o di fare un’inchiesta, ma solo una fotografia di quello che accadde”.
“La cosa tragica di questa storia – osserva Manetti – è che si respira sofferenza in ogni suo protagonista. Una sofferenza che sia gli imputati, che hanno vissuto un inferno, sia i genitori e gli stessi bambini, non vedranno cancellata dalle sentenze, purtroppo”. Nel ricostruire la vicenda Manetti e l’autrice Stefania Colletta, si sono mossi “studiando le carte processuali e intervistando le persone che al tempo seguirono gli avvenimenti in prima persona, cercando di affiancare al racconto giudiziario, quello personale. Abbiamo intervistato tutti i protagonisti di corollario della storia, gli imputati non hanno voluto partecipare e dei genitori coinvolti solo una madre ha parlato. Per una questione etica e di rispetto abbiamo informato tutte le parti in causa della storia e abbiamo chiamato tutti i loro avvocati”.
Lo speciale si snoda in due puntate da 50 minuti ciascuna e parte “dal 9 luglio 2006 (quando il genitore di una bambina si presentò alla caserma dei Carabinieri di Bracciano denunciando giochi a sfondo sessuale nella scuola materna Olga Rovere di Rignano, ndr), giorno di solito ricordato per la finale ‘Italia-Francia dei Mondiali, per arrivare nel racconto alla sentenza di primo grado, citando gli altri due gradi di giudizio che l’hanno confermata. Abbiamo cercato di raccontare le cose allo stesso modo con cui sono state raccontate al tempo dai media, cercando di mettere il telespettatore nella stessa condizione di chi al tempo seguì la vicenda in diretta. Non ci sono attori – spiega Manetti – ma solo i protagonisti reali della vicenda intervistati, accanto a materiali di repertorio”.
Quanto al titolo, ‘Lo scandalo di Rignano Flaminio’, “abbiamo usato la parola ‘scandalo’ – conclude il regista – facendo riferimento ai titoli dei giornali dell’epoca i quali, prima che il tutto passasse nelle mani della giustizia, gridarono allo scandalo trasformando Rignano Flaminio nel paese dei mostri”.