Ruby ter, il racconto di Karima: “Grata a Berlusconi, da lui affetto sincero”

 “Ho deciso di raccontare la mia vita, la donna che sono diventata, il perché delle mie scelte e come sono stata investita da una storia che mi ha travolto e sovrastato, per essere finalmente ascoltata, per essere vista davvero”. Inizia così il libro di Karima El Mahroug, in arte Ruby, assolta dai giudici del tribunale di Milano dall’accusa di falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari nel processo Ruby ter. La biografia ‘Karima’ scritta da Raffaella Cosentino sarà presentata domani ma l’Adnkronos ne ha già potuto leggere ampi stralci.

In 140 pagine c’è tutta la vita della giovane di origine marocchina. “Ho fatto la ragazza immagine, la cubista, la panettiera e la venditrice ambulante – a partire dai miei 9 anni – la bagnina – senza saper nuotare, l’estetista – senza aver alcuna qualifica – ho frequentato la casa del presidente Berlusconi, ho dormito molte notti su una panchina, sono scappata da 18 comunità. Ho camminato pericolosamente sull’orlo di un burrone, avrei potuto cadere e non sono caduta. Avrei potuto fare la prostituta, ma non l’ho fatto. Oggi non sono più una bambina in fuga per la vita, ho trent’anni” racconta. Dall’infanzia difficile all’arrivo in solitudine a Milano, fino alla prima serata ad Arcore il 14 febbraio 2010 e l’incontro con l’allora premier Silvio Berlusconi. “‘Buonasera signorina, ma quanto è bella. Stasera sarà mia ospite’. Mi risolsi con un sorriso, non sapevo cosa dire, ancora non sapevo niente della serata e soprattutto non aveva idea di chi potesse essere. Non leggevo i giornali, non mi interessavo di politica”.

“Entrammo in una sala con ragazze bellissime, super curate con capelli perfetti. Io avevo i capelli un po’ selvaggi, un pantalone nero, una canottierina. Mi sono sentita a disagio e un po’ fuori posto” prosegue. “Il presidente mi offrì il posto accanto a lui e gli occhi addosso delle altre ragazze un po’ mi mettevano in imbarazzo. Iniziò la cena e mi fu chiesto di presentarmi: avevo la risposta già collaudata: ‘Mi chiamo Ruby Hayek, sono metà egiziana e metà brasiliana, ho ventiquattro anni. Mia madre è una cantante famosa in Egitto’. Una cena intervallata da barzellette, canzoni cantate dal padrone di casa, tanto vociare. lo continuavo a sentirmi fuori luogo”.

Il racconto del primo incontro è dettagliato. “Al momento del dolce, mi rivolsi al presidente: ‘Scusa, ti posso parlare un momento?’. Il gelo intorno. Fu molto educato e cortese, ci alzammo. ‘Io non sapevo che si trattasse di un dopo cena, pensavo di andare a ballare in discoteca e noi ci cambiamo lì di solito: non mi sento vestita elegante. Non so di che parlare, mi sento un po’ a disagio e poi è San Valentino e vorrei fare una sorpresa al mio fidanzato’. (…) ‘Va bene vai pure, ci vedremo una prossima volta’. Mi chiese il numero di telefono, mi chiamò un taxi e mi diede una busta. La prima serata ad Arcore finì così. In macchina aprii la busta con quattro biglietti da cinquecento euro. Ero al settimo cielo, potevo mandare dei soldi a mia madre e stare tranquilla”.

Da quel momento Ruby inizia a frequentare le cene a casa di Berlusconi con “una certa regolarità, quanto bastasse per cambiare radicalmente il mio tenore di vita; riuscivo a mandare dei soldi a mia madre, a mantenermi e a prendermi cura di me. Le serate ad Arcore erano tutte quasi uguali, la cena sempre con lo stesso menù a base di tricolore, il dopo cena nella sala sottostante la sala da pranzo, ormai nota a tutti come ‘bunga bunga'”.

Durante le cene “l’atmosfera era falsamente allegra, con un retrogusto di tristezza. Ridevano tutti moltissimo, esageratamente. Le ragazze facevano a gara per essere le più belle, le più sexy, in una competizione tutta loro dalla quale io ero esclusa; erano loro per prime a ritenermi ‘diversa’, una zingara, dicevano. Gli ospiti al tavolo non erano sempre gli stessi. Alcuni andavano via subito dopo cena, altri si fermavano. C’erano esibizioni, balletti sexy, travestimenti, spogliarelli. Io mi sono esibita ballando la danza del ventre più di una volta, indossando un vestito regalato al presidente da Gheddafi. Ballare con un vestito così prezioso mi inorgogliva, mi faceva sentire importante. Speciale”.

“Alcune volte sono rimasta ospite per la notte. Era molto piacevole rimanere, perché, al mattino, il momento della colazione era il più interessante. Il presidente raccontava la sua vita, discuteva di temi a me molto lontani, ne ero affascinata. Era un mondo così importante il suo e mi sembrava incredibile poterne in qualche modo, anche lontanamente, farne parte. Mi sentivo trattare con dignità, direi come un’interlocutrice degna. I racconti degli inizi della sua professione erano i più interessanti perché aprivano in me finestre di riflessione, mi davano un senso di possibilità. Sono stata sempre trattata con molto garbo e, credo, con affetto sincero” racconta Ruby.

“Quello che non sopportavo era il clima di avidità che si respirava e non mi sapevo spiegare – e rimane per me un mistero anche adesso – come facesse lui a fidarsi di tutte quelle persone o a volerle solo intorno. Comprendo perfettamente che questa osservazione possa, a ben vedere, valere anche per me, ma io mi sono sempre sentita diversa. Non ho mai vissuto il mio partecipare alle cene come un lavoro. Lo trovavo un immenso privilegio. Mi ha aiutato, senza chiedere niente in cambio e senza che io mi sentissi in dovere di ricambiare in alcun modo. Se non con la gratitudine che continuo a sentire anche oggi”.

La biografia non tralascia l’incontro con i pm di Milano Antonio Sangermano e Pietro Forno, i primi a raccogliere i dettagli delle serate a villa San Martino. “In principio mi sembrava fossero interessati alla mia storia e credevo che l’obiettivo degli incontri fosse il mio affidamento. Poi iniziarono a chiedermi delle serate ad Arcore. Le conversazioni e le domande erano diventate spiacevoli, incalzanti; iniziai i miei racconti strampalati quando mi accorsi di non essere io il centro dei loro interessi; per un senso di sfida e anche un po’ per noia. Le mie storie erano assurde e non pensavo credessero a tutte le cose che palesemente inventavo. Soprattutto, non conoscevo le possibili conseguenze di quello che raccontavo. Parlavo, a ruota libera. Inventavo. Parecchio. Coloravo, ogni volta con particolari sempre più precisi. Con nomi, cognomi, situazioni: le più fantasiose. Ho raccontato di una notte con Ronaldo e credo di aver detto anche che Brad Pitt voleva adottarmi”.

Le dichiarazioni rese in procura portano dritto al 10 ottobre 2010 quando “in edicola la mia faccia era ovunque su tutti i giornali – racconta la giovane marocchina -. Lo scandalo, il Ruby Gate, era mediaticamente iniziato. Un terremoto nella mia vita. Furono mesi inspiegabili, in cui io ero totalmente sovrastata, dagli eventi, dagli sguardi delle persone, dall’assalto dei giornalisti, dalle vicende giudiziarie. Ero ufficialmente parte lesa, ma di fatto un giudizio su di me era stato già emesso: una prostituta minorenne. Si dibatté, molto a lungo, se fosse nota o meno la mia reale età. La prostituzione era data per scontata, un dato di fatto. Del resto, cos’altro avrei potuto fare: una così, che balla così, che vive così, che frequenta quei posti lì. In effetti alla fine il tribunale così ha deciso: il presidente non conosceva la reale età… della prostituta minorenne. Amen”.

Dopo lo scoppio dello scandalo “che fece tremare i palazzi, anche la mia vita andò abbastanza in frantumi; analizzando e guardandomi da così lontano, mi vedo in balia degli eventi, della mia inconsapevolezza, di un finto amore. Mi rimprovero di essermi affidata a persone sbagliate (…) “. Tutti volevano vedere la prostituta del presidente, nessuno che abbia visto una ragazzina di 17 anni, inseguita, usata, fotografata, braccata in ogni momento”. In quel processo in cui è parte lesa, la giovane si sente “profondamente sotto accusa, anzi già giudicata”. Un’adolescente in un corpo di donna, “non ascoltata, né mai creduta”.

Oggi a quella “ragazzina con la corazza da adulta”, in balia di se stessa, dopo 13 anni Karima guarda con occhi nuovi: “Sebbene la sentenza sia destinata a me, parla soltanto di Ruby, di un personaggio, di un’invenzione. (…) Ho deciso di raccontare la mia storia, ben consapevole del rischio di essere accusata di voler strumentalizzare la mia vita. Ho atteso i tempi della giustizia, ho incassato gli insulti, non sono andata in cerca di popolarità. Adesso però vorrei semplicemente dire chi sono. Lo faccio così, con un libro. Sono consapevole di accendere un faro su una storia che si vorrebbe dimenticare. Lascio Ruby al suo destino che un giorno la storia, mi auguro, saprà meglio collocare e raccontare. Io, Karima, condannata o assolta in un’aula di giustizia o negli occhi di chi mi guarda, raccolgo la mia vita e vado oltre”. Una biografia che sa di “balsamo per la mia anima. Perché l’essere derubati della propria adolescenza, vita, verità fa perdere identità. Non sai più davvero chi sei. Ora mi sento sintonizzata sulla frequenza giusta”, conclude Karima El Mahroug.

(Adnkronos)