Sassoli, Follini: “Non disperdere attimo commozione comune”

“C’era una nota di sincerità, e non solo di circostanza, nelle parole, nei ricordi e perfino nei riti che hanno accompagnato la scomparsa di David Sassoli. Come a dire che nel ricordare una bella figura umana e pubblica la politica voleva anche rivendicare alcune sue virtù, dare un senso a se stessa e perfino alla sua quotidianità, offrire il volto nascosto della sua unità. Almeno per un attimo. 

L’elogio di una figura così lontana dal bullismo non appare come il tributo che il vizio arreca alla virtù. Semmai come una sorta di promessa che il ceto politico rivolge a se stesso per venire a capo di alcuni dei suoi difetti più radicati. 

Siamo così abituati a vedere la politica sottomessa, costretta all’angolo, criticata in mille modi, e pertanto indotta a uscire dalle sue difficoltà quasi sempre randellando l’avversario e giocando sull’insinuazione, la diffidenza, la sfiducia, siamo così abituati a vederne il volto pavido e insieme ferino che quella corale rivendicazione del suo significato, offerta quasi coralmente da una parte e dall’altra, ha finito col destare sorpresa. Come se all’indomani di mille baruffe e alla vigilia -forse- di una baruffa ancor più grande in vista del Quirinale, i partiti, i loro parlamentari, i loro militanti, volessero ricordare a se stessi e al paese che nella loro attività c’è pur sempre un significato di una qualche nobiltà. Quantomeno nelle intenzioni. E forse nelle possibilità. 

Si dirà che non è la prima volta. E in effetti la storia della Repubblica si nutre anche di funerali commossi e commuoventi, legati a figure che hanno fatto epoca anche quando la loro epoca si chiudeva e perfino, e magari soprattutto, al cospetto dei loro antagonisti di un attimo prima. Come se nel dolore della scomparsa si potesse infine ritrovare il segno di una comune appartenenza alla cittadella della politica. E quasi vederlo riflesso nell’omaggio reso da chi magari militava dalla parte opposta e l’indomani avrebbe poi ripercorso il sentiero di guerra tornando a polemizzare, a contrastare, magari ad inveire. 

Perché appunto la politica è l’una e l’altra cosa. Il rispetto dell’avversario e il gusto dell’avversione. Il tifo per la propria causa e il suo opposto. L’applauso per le proprie ragioni e qualche volta la demonizzazione di quelle altrui. 

Eppure, quell’attimo di commozione comune che ha attraversato in questi giorni le aule parlamentari e il discorso pubblico in occasione dell’ultimo saluto a Sassoli forse non andrebbe disperso. E magari potrebbe perfino dare una mano a uscire dall’impasse che da settimane si trascina fino a non lasciare immaginare che il prossimo capo dello Stato possa essere eletto senza brandire l’ascia di guerra. 

Gli ultimi anni ci hanno abituato a veder scavare solchi e trincee, come se la politica si sentisse al riparo solo contando sulle propria parzialità. Le istituzioni ne hanno fatto le spese. E le riforme fatte gli uni contro gli altri hanno infine prodotto l’esito che tutto è come prima -solo un po’ peggio. 

Si dirà che non è il caso di mescolare il sacro e il profano. Ed è vero. Tutto sta a stabilire se la scelta del presidente della repubblica faccia parte del sacro o invece del profano. E cioè se si tratti di fare una somma oppure una conta. Di scegliere nella propria metà campo o di tracciare, per quanto possibile, le linee di un campo nuovo in cui le appartenenze si sfumino, i caratteri si addolciscano, le parzialità lascino il posto per una volta a una più ampia condivisione. 

Un presidente scelto di comune accordo, fasciato della sua stessa terzietà, sottratto alle bandiere di fazione sarebbe un bel segnale. Tanto più dopo mesi e mesi in cui si sono misurate le forze, messe in campo le candidature, rivendicata ogni sorta di primazia. Salvo scoprire che uno Stato in buona salute ha bisogno di un capo che non sia troppo capo. E semmai sia riconosciuto tale un po’ da tutti. 

Una somma oppure una conta, per l’appunto. Sapendo che se comincia la conta la somma riesce sempre meno bene”. 

(di Marco Follini) 

(Adnkronos)