Dietro la strage di via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta “non c’era solo la mafia”. “Sicuramente c’è qualcuno che ancora adesso cerca di tirare bene i fili. I depistaggi, purtroppo, continuano. E la volontà di qualcuno, anche nelle istituzioni, non permette di arrivare fino alla verità dei fatti. Dopo 29 anni”. Antonio Vullo è l’unico agente di scorta sopravvissuto nella strage di Via D’Amelio. C’era quella domenica pomeriggio, quando alle 16.58 tutto saltò in aria, portando via sei persone. Lui è rimasto ferito. Ma la ferita più grande, le cicatrici più lunghe, non si vedono. Quelle sono dentro di lui. Basta guardare i suoi occhi. Qui, in via D’Amelio. Questa mattina è venuto qui, Antonio Vullo, per il presidio organizzato in vista del 29esimo anniversario di lunedì. In tanti vengono per chiedere di fare una foto con lui, gli stringono la mano. Ma lui non lo fa volentieri. Si imbarazza. Un collega poliziotto gli dice: “Sei un eroe, grazie a uomini come te oggi la lotta alla mafia è più facile”. E lui si schermisce. “No, non sono un eroe. Il giudice e i miei colleghi lo erano…”, e indica il portone. Dove Paolo Borsellino si trovava quando scoppiò l’autobomba.
Ieri sera Antonio Vullo ha partecipato, nell’atrio di Giurisprudenza a Palermo, a ‘La Grande Menzogna, il depistaggio di via D’Amelio’, la drammaturgia sugli atti della Commissione regionale antimafia dell’Ars che nei giorni scorsi ha pubblicato la relazione sul depistaggio. “Ci sono ancora tanti di quei personaggi famosi, nelle istituzioni che non vogliono arrivare alla verità- dice Vullo in una intervista all’Adnkronos – perché non è solo un fattore di mafia, ma qualcosa di più. Anche perché abbiamo visto subito dopo quello che hanno fatto…”.
“I depistaggi sulla strage di via D’Amelio continuano – prosegue l’ex agente di scorta – E ogni volta che ci avviciniamo alla verità, subentra sempre un fatto esterno che ci riporta indietro nelle inchieste”. “Vedendo l’evolversi della situazione in questi anni – dice – si capisce che i depistaggi continuano a essere presenti e sicuramente non fa bene alla nostra storia. Né a noi che abbiamo subito questa strage e non fa bene soprattutto agli italiani che credono di potere arrivare alla verità. Anche adesso, qui, in via D’Amelio, vede, ci sono tante persone che vengono ad omaggiare il giudice e i miei colleghi morti quel giorno, e cercano anche loro di avere una verità”. Ma chi non vuole la verità? Chi non vuole sapere cosa accadde realmente, chi ha voluto la morte del giudice antimafia? “Il 19 luglio, quando qualcuno è entrato in questo inferno, mentre era tutto in fumo, con auto che esplodevano e le stesse armi che esplodevano. Qualcuno è venuto a fare quell’atto vergognoso. Ancora oggi restano i video e ci chiediamo il perché”. Antonio Vullo si riferisce alla borsa del giudice portata via dall’auto, con l’agenda rossa all’interno. Un’agenda mai più ritrovata.
Sulla piece di ieri sera, con attori come David Coco e la presenza dello stesso Presidente dell’Antimafia Claudio Fava, Antonio Vullo, che era seduto accanto a Fiammetta Borsellino, dice: “L’effetto è sempre quello che ti riporta a quel giorno, è stato fatto in modo drammaturgico ma ha evidenziato tanti passaggi, come il depistaggio, la mente è tornata al 19 luglio”.
“Non è facile, per me, ritornare in via d’Amelio, io di solito vengo quando non c’è nessuno – dice – perché trovo un momento di pace, mi sento molto vicino a loro, al giudici e ai miei colleghi, quando non c’è nessuno, perché riesco a riconciliare la mia vita con chi è rimasto qui, quel giorno, per sempre. Quando ci sono tante persone, mi torna in mente il fatto di essere sopravvissuto, una emozione così forte che mi fa stare malissimo. Trovandomi accanto ai familiari delle vittime è qualcosa che scatena tanto di quel dolore che penso che al posto mio poteva esserci Claudio, Vincenzo, Emanuela. Ed è una conseguenza che mi fa stare malissimo, mentre quando sono da solo riesco a trovare la pace”. (di Elvira Terranova)