(Adnkronos) – Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha dato il via, con anticipo, alla partita del rinnovo delle cariche apicali dell’Ue, annunciando che si candiderà alle prossime elezioni per conquistare un seggio al Parlamento Europeo. Le implicazioni della mossa del politico belga non sono di poco conto, anche se, secondo quanto ha spiegato una fonte Ue, “non sussistono impedimenti legali o di altra natura” che ostino alla candidatura alle elezioni del presidente del Consiglio Europeo in carica. Michel, ha aggiunto la stessa fonte, “continua e continuerà ad essere totalmente dedito al suo ruolo e alle sue responsabilità come presidente del Consiglio Europeo”, esattamente come ha fatto “quando era primo ministro e si è candidato per le elezioni in Belgio nel 2019”.
Il problema sono i tempi: il mandato di Michel come presidente terminerà il 30 novembre 2024, mentre il suo mandato da parlamentare, se sarà eletto (cosa molto probabile), inizierà prima della pausa estiva 2024, quando verrà nominato eurodeputato. Da un punto di vista tecnico, questo sfasamento temporale non pone problemi insormontabili, posto che le cose vadano come previsto e che dalle urne, nel prossimo giugno, non escano risultati sconvolgenti. L’elezione del presidente del Consiglio Europeo spetta, in base all’articolo 15.5 del Tue, ai capi di Stato e di governo, a maggioranza qualificata.
L’elezione è prevista nel Consiglio Europeo di fine giugno, insieme all’indicazione delle altre cariche apicali Ue, che in genere formano un pacchetto unico: presidente della Commissione, del Consiglio Europeo, Alto Rappresentante e presidente del Parlamento. Quest’ultimo in realtà viene eletto dall’Aula, che mal tollera le ingerenze del Consiglio, tanto che nel 2019 elesse David Sassoli al posto del bulgaro Sergej Stanishev, il nome che era uscito dal summit fiume di luglio 2019. Questa volta non farà parte del pacchetto la presidenza della Bce, poiché il mandato di Christine Lagarde, indicata dai leader nel 2019, scadrà alla fine di ottobre del 2027.
Fonti Ue hanno fatto notare che “è possibile avere il prossimo presidente del Consiglio Europeo che assume le proprie funzioni nell’estate del 2024”, se i capi di Stato e di governo decideranno “in questo senso”. Questo appare al momento l’esito più probabile, sempre che dalle urne non escano risultati tali da alterare in modo sostanziale gli equilibri politici a livello Ue e da rendere difficile trovare un’intesa sul pacchetto delle nomine di vertice, in modo da provocare un ritardo.
L’ultima volta, nel 2019, i capi di Stato e di governo impiegarono qualche giorno per arrivare a nomine condivise, ma c’era di mezzo la questione degli Spitzenkandidaten, che richiese un sovrappiù di trattative per consentire ad Angela Merkel ed Emmanuel Macron di arrivare a nomine che prescindessero da quel principio, caro al Parlamento. In questo caso, occorrerebbe, in mancanza di un successore designato di Michel, ormai nominato eurodeputato, indicare un presidente ad interim.
E qui scatterebbe lo scenario Orban: le regole procedurali del Consiglio Europeo prevedono che “nel caso di un impedimento a causa di malattia, in caso di decesso o se il mandato è terminato in base all’articolo 15.5 del Tue (per impedimento o colpa grave, il Consiglio può destituire il presidente anzitempo, a maggioranza qualificata, ndr), il presidente del Consiglio Europeo verrà sostituito, ove necessario, fino alla elezione del suo successore, dal membro del Consiglio Europeo che rappresenta lo Stato che detiene la presidenza a rotazione del Consiglio Ue”, istituzione diversa, che ha una presidenza separata. Da notare che il trattato non prevede esplicitamente il caso di dimissioni anticipate volontarie del presidente del Consiglio Europeo.
Nella seconda metà del 2024, quando dovrebbe svolgere le sue funzioni l’eventuale presidente ad interim, toccherebbe a Viktor Orban presiedere il summit, dato che l’Ungheria avrà la presidenza di turno nel secondo semestre 2024. Un esito simile sarebbe certamente una soddisfazione per il premier magiaro, che usa spesso l’arma del veto per ottenere vantaggi al tavolo negoziale, ma appare ad oggi poco probabile, anche se non impossibile, perché quelle stesse regole procedurali possono essere cambiate “a maggioranza semplice” dagli stessi capi di Stato e di governo, come ha spiegato una fonte Ue. Quindi, l’eventuale presidenza ad interim di Orban è subordinata ad almeno due condizioni: che i leader non trovino un accordo sulle nomine a fine giugno, per rimandare a dopo l’estate, e che gli stessi leader rinuncino a cambiare le regole procedurali, per evitare che tale cambiamento venga percepito come una ‘dichiarazione di guerra’ a Budapest.
Gli scenari, ovviamente, non si esauriscono qui e sono pressoché infiniti: l’interim, ad esempio, potrebbe essere dato ad un presidente terzo, perché il nominato è impossibilitato a insediarsi in anticipo (per esempio, l’olandese Mark Rutte, che è tuttora premier e che lo sarà finché non verrà formato un nuovo governo all’Aja). C’è anche chi ipotizza che l’eventuale interim possa essere affidato alla presidente della Commissione, per unificare così de facto le due cariche, riforma che viene auspicata da molti, malgrado richieda una modifica dei trattati (ne ha parlato un paio di giorni fa anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che conosce bene le dinamiche comunitarie), per eliminare un dualismo che genera spesso confusione e contribuisce alla percezione dell’Ue come un’entità debole, se non irrilevante, sul piano geopolitico. Tutto questo, ovviamente, prescinde sia dai nomi sia da considerazioni più generali.
Come è stato osservato, il fatto che il presidente del Consiglio Europeo decida di terminare in anticipo il suo mandato di qualche mese non può non proiettare dubbi sull’importanza e rilevanza della carica stessa. Carica che non esisteva prima del 2009, quando è entrato in vigore il Trattato di Lisbona: prima, la presidenza dei summit europei era affidata al presidente di turno. Né il belga Herman van Rompuy né il polacco Donald Tusk, i due predecessori di Michel, si sono mai dimessi prima di fine mandato.
Per non parlare delle perplessità che circolano a Bruxelles sulla mossa del presidente Michel: in molti ricordano ancora le tensioni con Ursula von der Leyen, a partire dall’ormai famoso Sofagate, quando la presidente venne lasciata su una poltrona, in disparte, mentre lui si accomodava al fianco del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. La ‘defezione’ di Michel ha lasciato l’amaro in bocca a molti, anche nel suo stesso gruppo, i liberali di Renew Europe.
L’eurodeputata liberale olandese Sophie In’t Veld ha definito la scelta del politico belga “cinica” e “incredibile”, perché come presidente del Consiglio Europeo “per cinque anni” non avrebbe fatto altro che “disprezzare” il Parlamento, per poi candidarsi per un seggio nella stessa Aula. Passare il testimone a Orban, ha aggiunto, sarebbe un gesto di “scandalosa irresponsabilità”. Per l’eurodeputata, Michel è semplicemente “il capitano che abbandona la nave in mezzo alla tempesta. Se sei così poco attento al destino dell’Ue, allora quanto puoi essere credibile come candidato?”, ha scritto via social.
Tanto più che molti sondaggi danno i gruppi della destra in crescita, sia pure divisi tra Id ed Ecr, al punto da insidiare, in prospettiva, la posizione di Renew come terzo gruppo dell’Emiciclo: anche se le due destre restano divise, con la faglia che si è allargata dopo l’invasione russa dell’Ucraina, i liberali pagheranno con ogni probabilità il crollo di Ciudadanos in Spagna, il calo nei sondaggi dell’Fdp in Germania e le divisioni che perdurano in Italia: sono tre grandi Paesi, che eleggono molti eurodeputati. Come è stato autorevolmente osservato, nel peggiore dei casi l’Ue potrebbe ritrovarsi con il Consiglio Europeo presieduto pro tempore da Viktor Orban, con le presidenziali Usa vinte da Donald Trump. Uno scenario che certo non dispiacerebbe né a Mosca né a Pechino.