La variante Delta avanza in Italia, con i contagi che passano dal 4,2% del totale delle infezioni di maggio al 16,8% di giugno. Ma due dosi di vaccino forniscono comunque una forte protezione contro il mutante. Secondo una circolare del ministero della Salute la variante è del 40-60% più trasmissibile rispetto alla Alpha e può essere associata a un rischio più elevato di ospedalizzazione. A livello di sintomi la variante indiana pare essere più impattante sull’organismo. Tosse, raffreddore, mal di testa e mal di gola, febbre, dolori muscolari, diarrea, stanchezza e spossatezza, ovvero i primi segnali della presenza del coronavirus nelle persone, sono di solito più forti. E di conseguenza anche i tempi di guarigione ne risentono.
VACCINAZIONE
“Vi sono evidenze – si legge nella circolare del ministero della Salute – che quanti hanno ricevuto solo la prima dose di una vaccinazione che prevede la somministrazione di due dosi per il completamento del ciclo vaccinale anti-Covid, sono meno protetti contro l’infezione con la variante Delta rispetto all’infezione da altre varianti, indipendentemente dal tipo di vaccino somministrato”. “Il completamento del ciclo vaccinale – continua la circolare – fornisce invece una protezione contro la variante Delta quasi equivalente a quella osservata contro la variante Alpha”.
“E’ importante progredire il più veloce possibile con la campagna vaccinale. Una sola dose di vaccino non copre adeguatamente, va completato il ciclo vaccinale per riuscire a ottenere protezione sia da patologia grave che letale”, afferma il professor Franco Locatelli, coordinatore del Cts e presidente del Consiglio Superiore di Sanità.
RISCHIO ZONE ROSSE
Secondo Locatelli è concreta la prospettiva di dover chiudere dove è particolarmente diffusa la variante Delta. “In questo momento il Paese è zona bianca ma guai ad abbassare la guardia: siamo in una situazione più favorevole e possiamo oggi valutare numeri diversi rispetto al passato. Ma il problema non è superato”, ha detto. Eventuali chiusure rientrano nella “flessibilità del sistema, lo stesso che abbiamo adottato per esempio per le zone dell’Umbria quando c’è stata la variante brasiliana”. “E’ importante lavorare nella maniera più intensiva sul tracciamento e sugli approcci di genotipizzazione e sequenziamento perché solo in questo modo riusciremo a intercettare in maniera precisa eventuali segnali di diffusione importante della variante indiana”.
Nella battaglia contro covid e in particolare contro la variante Delta “bisogna saper leggere momento per momento le vicende. In questo momento noi riteniamo che le misure che abbiamo assunto siano sufficienti. In modo particolare abbiamo ripristinato pochi giorni fa la quarantena per la Gran Bretagna, ho rinnovato l’ordinanza, in scadenza, per l’India con il divieto d’ingresso. Ma non vi è dubbio che bisogna continuare a monitorare passo dopo passo”, ha detto dal canto suo il ministro della Salute Roberto Speranza.
VARIANTE INDIANA, LA ‘SCHEDA’
Scoperta per la prima volta ad ottobre nel Maharashtra, stato dell’India Centro-occidentale, conosciuto per la capitale Mumbai, la variante è identificata come B.1.617. La sua caratteristica principale è che presenta due mutazioni già note (E484Q e L452R), unione che sarebbe responsabile della drammatica ondata che sta stravolgendo l’India. La mutazione identificata come L452R corrisponde ad una modifica individuata anche nella variante californiana (B.1.427) che interessa la proteina spike e potrebbe aumentare la contagiosità del coronavirus. La mutazione E484Q potrebbe invece incidere sulla capacità di ‘dribblare’ la risposta immunitaria: quindi, potrebbe portare il coronavirus ad essere più resistente agli anticorpi sviluppati dopo un’infezione o di aggirare, almeno parzialmente, l’efficacia del vaccino.