Un articolo apparso su Science raccoglie i dati dei primi 10 mesi delle app di contact tracing. Le app che avrebbero dovuto essere fondamentali per combattere la pandemia di Covid-19, in tutto il mondo stanno avendo molte difficoltà. Pochi scaricamenti, scarso utilizzo.
L’articolo, scritto da due bioetici del Politecnico di Zurigo, in Svizzera, prova ad analizzare le cause di questo fallimento, lasciando la speranza che qualcosa possa migliorare.
“Tutto sembrava essere partito per il verso giusto – si legge nell’articolo – addirittura un accordo tra Google e Apple che per la prima volta hanno unito le forze e hanno fornito un protocollo che ha consentito il “dialogo” tra smartphone Android e iOS via bluetooth. Eppure, dopo 10 mesi, i tassi di download restano ovunque bassi. Ancora più bassi quelli di utilizzo”.
Alla diffidenza degli utenti, si devono poi aggiungere le difficoltà della aziende sanitarie a caricare i dati, dei tamponi, per questo le app in tutto il mondo sono in stallo.
L’articolo fa una panoramica, nazione per nazione, di quello che sta succedendo nei paesi che hanno lanciato un’app di contact tracing. Nonostante, infatti in Usa, Svizzera e Italia la potenziale popolazione che poteva scaricare l’app si aggirasse tra il 55% e il 70%, la realtà è molto diversa.
Gli Stati Uniti al momento non hanno un’app di tracciamento dei contagi, l’Australia ha creato “CovidSafe” attualmente scaricata da 6,5 milioni di persone (26% della popolazione); in Italia “Immuni” è stata scaricata da 8 milioni (13,4% della popolazione) anche se, nel caso italiano, i dati andrebbero aggironati perchè ad oggi Immuni è stata scaricata da da 9,8 milioni di persone); in Francia “Stop Covid” da 1,5 milioni (2,3%); in Irlanda “CovidTracker” da 1,3 milioni (24%); in Svizzera “SwissCovidApp” da 1,8 milioni (21,5%); in Germania “CoronaWarn” da 16 milioni (19,3%).
Le cause dell’insuccesso? Sempre secondo l’articolo di Science: lo scetticismo sulle app, la preoccupazione sull’uso dei dati da parte del governo e delle società tecnologiche che hanno messo a disposizione il protocollo, e il vedere questa strategia dei governi come un’imposizione, dall’alto verso il basso. Una comunicazione sbagliata quindi. La situazione, però, secondo gli autori della ricerca, Alessandro Blasimme e Effy Vayena, potrebbe ancora essere recuperata se i governi cambiano approccio e strategia. “Sarebbe bastato, da parte dei governi – spiegano i due autori – provare a fugare questi timori, anche prchè le app potrebbero davvero essere lo strumento giusto per la lotta al Covid”.