Il passaggio di testimone più citato resta quello, gelido, tra Enrico Letta e Matteo Renzi. Era l’inizio del 2014, i tempi di “Enrico, stai sereno”. Oggi la cerimonia della campanella segna invece, in un clima molto più disteso, l’avvicendamento a Palazzo Chigi tra Mario Draghi e Giorgia Meloni. Questa volta avviene in modo ‘naturale’, dopo le elezioni e con l’apertura di una nuova legislatura. L’eredità che passa di mano è però pesante, più che in altre occasioni.
C’è un bagaglio di competenza, di autorevolezza e di affidabilità che deve essere preservato. Inutile soffermarsi a spiegare perché. Anche considerando le posizioni dei più convinti detrattori, è difficile negare che Draghi abbia rappresentato, durante i suoi difficilissimi 20 mesi di governo, una garanzia per il Paese, soprattutto sul piano internazionale e per la reputazione sui mercati finanziari. Finora è stata l’Italia di Mario Draghi, con un’identità chiara. Da oggi in poi sarà l’Italia di Giorgia Meloni e l’identità è tutta da costruire. Sarà giudicata dai fatti e dalle scelte che farà, non potendo contare sull’apertura di credito di cui ha goduto il suo predecessore, come conseguenza della sua storia personale e del suo ruolo precedente, alla guida della Bce. Si chiude, oggi, l’ombrello di Draghi sulla credibilità dell’Italia.
Ci sono poi i risultati economici, con il Paese che è tornato a crescere a ritmi superiori rispetto agli altri Paesi occidentali. Non dipendono solo dal premier e dal governo e la congiuntura da questo punto di vista non sembra giocare a favore di Giorgia Meloni. Le condizioni stanno peggiorando, la crisi dell’energia non ha ancora fatto vedere le sue conseguenze più dannose, e l’ipotesi che si debba fronteggiare una nuova recessione è tutt’altro che remota. C’è anche la macchina del Pnrr, che per come è costruita non ammette esitazioni, rallentamenti o passi falsi. Si gioca, sui conti pubblici e sull’attuazione del Recovery plan, il rapporto con l’Europa, che non è solo il rapporto con Bruxelles ma è anche il rapporto con gli altri Paesi europei e la collocazione all’interno delle alleanze, a geometria variabile, che trainano la politica comunitaria.
Giorgia Meloni può però contare sua una condizione privilegiata rispetto a Draghi. Lei puoi contare su una maggioranza politica che, a patto di risolvere i conflitti latenti o almeno di non farli deflagare in guerre aperte, può sostenere in maniera coerente l’azione di governo. Lui ha dovuto gestire una maggioranza tanto larga quanto disomogenea, che alla prima reale occasione utile ha dimostrato quanto gli interessi di parte, almeno quelli presunti, siano sempre pronti a prevalere sull’interesse generale.
Meloni non è Draghi e non deve provare a fare Draghi. Deve fare le sue scelte, deve difenderle, e deve fare la sua strada. Senza disperdere, però, l’eredità pesante che raccoglie oggi.
(adnkronos.it)