MANTOVA – Duomo gremito di fedeli oggi pomeriggio per la messa in suffragio di Benedetto XVI presieduta dal vescovo Marco Busca. E il vescovo parte proprio dalle ultime parole pronunciate dal papa emerito “Signore ti amo!” per iniziare la sua omelia. Parole che sono:”la firma apposta da Benedetto XVI sul corposo libro della sua vita terrena. Il papa emerito ha raggiunto l’obiettivo della sua esistenza, come si era espresso nell’ultimo scritto che ci ha lasciato, lo scorso 6 febbraio:confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato. In vista dell’ora
del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più,l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte”.
“Joseph Ratzinger, un uomo credente e intelligente, consegna alla Chiesa e all’umanità una parola cristiana sulla morte. Il Vangelo è una scuola di vita per gli anni del nostro cammino terreno, ma anche ci insegna a morire. È spontaneo pensare che il libro della vita si scrive tutto in terra e si lasciano le conclusioni per l’al di là. Papa Benedetto pare dirci il contrario: quaggiù si scrive solo l’introduzione al “Libro della vita”, di quella vita piena e felice che ci attende nell’eternità di Dio. Nei giorni scorsi si è cercato di rileggere le pagine salienti della vita del papa emerito e di interpretare il suo percorso di uomo credente, fine teologo e pastore coerente e gentile. Quando gli è stato chiesto se si vedeva come l’ultimo papa del vecchio mondo o come il primo del nuovo, papa Benedetto ha risposto: “entrambi.
Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora incominciato” prosegue il vescovo.
“Il segno distintivo del suo pontificato – come lui stesso ha dichiarato – è “ben espresso dall’Anno della fede: un rinnovato incoraggiamento a credere, a vivere una vita a partire dal centro, dal dinamismo della fede, a riscoprire Dio riscoprendo Cristo, dunque a riscoprire la centralità della fede”. Spesso è stato chiamato con l’appellativo di “papa teologo”, che Ratzinger accettava nell’ottica dei vescovi dell’antichità: erano dei contemplativi chiamati alla guida del popolo come pastori e perciò erano dottori per nutrire la fede della comunità cristiana con una solida dottrina. Nella seconda lettura della liturgia odierna si traccia l’incarico dell’apostolo al cui centro c’è la predicazione: per rivelazione gli è stato fatto conoscere il mistero di Cristo e suo compito è manifestare che gli uomini sono chiamati a condividere la stessa eredità che è appunto la sublime conoscenza di Cristo, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Il legame tra la Verità e il compito di vescovo è stato centrale per Ratzinger, non a caso il suo motto episcopale recita le parole “Cooperatores Veritatis”.
La nuova cultura che si è andata costruendo in questi decenni è evidentemente una cultura pluralista e relativista, un dato di fatto aperto a diverse valutazioni da parte di teologi e intellettuali, non per tutti necessariamente negative. Sappiamo che Joseph Ratzinger ha più volte denunciato gli effetti negativi del relativismo culturale ed etico, a tal punto da parlare di “dittatura del relativismo” sottolinea monsignor Busca.
“Per Benedetto XVI coltivare l’intelligenza della fede non era finalizzata anzitutto a dimostrare che la fede non è contraria alla ragione e alle esigenze dell’umano, nasceva come esigenza interna all’amore stesso per Cristo: tanto più il credente è conquistato dall’amore di Cristo e tanto più acuta è la curiosità del sapere e la
ricerca della verità. A partire dal suo approccio credente papa Ratzinger affronta temi impegnativi che spaziano dalle sfide etiche, il futuro dell’Europa, i problemi sociali urgenti, la crisi antropologica, sempre adottando il metodo di una “ragione allargata” dal contributo della fede. Nel vangelo della liturgia dell’Epifania sono rappresentati due diversi modi di attivare l’intelligenza. I magi sapienti cercatori della verità cercano informazioni per confermare il segno della stella e per sapere dove possono trovare il Re dei Giudei per adorarlo. La conoscenza è finalizzata a unirsi al “Conosciuto”, questo
significa adorarlo: “riconoscere Dio come nostra vera misura e orientarsi secondo la misura della verità e del bene, per diventare in tal modo noi stessi veri e buoni”. A far da contrappunto ai Magi ci sono le figure di Erode e degli scribi, informatissimi sulle profezie messianiche e interpreti autorevoli della Legge, ma privi dell’amore che muove a incontrare la persona amata. La loro conoscenza è pigra e sterile. “Che cosa manca
a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in sé stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di aver già formulato un giudizio definitivo sulle cose… che rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio… Manca la capacità evangelica di essere
bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio”.
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Papa Benedetto medita sulla splendida visione del profeta Isaia in cui la grande luce di Dio sorge su tutta la terra, così che i re delle nazioni si inchineranno di fronte a lui, verranno da tutti i confini della terra e deporranno ai suoi piedi i loro tesori più preziosi. Poi mette a confronto tale visione con la scena molto più sobria e drammatica dei Magi, i primi che sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade
indicate dalla Sacra Scrittura a fronte di Erode che sembra il più forte rispetto a quel Bambino che vorrebbe ricacciare tra coloro che non hanno importanza. Il papa commenta: “i credenti in Gesù Cristo sembrano sempre essere pochi. Molti hanno visto la stella, ma pochi ne hanno capito il messaggio”. Pongo in evidenza questo passaggio perché una delle convinzioni più forti che il teologo Ratzinger ha continuato a riproporre fin dagli anni sessanta è che il futuro della chiesa si giocherà sulle minoranze creative di credenti. Questo a partire dalla constatazione che la cultura occidentale da secoli è una cultura superficialmente cristianizzata e insieme post-cristiana. Cito uno stralcio del Discorso pronunciato da Ratzinger nel Natale del 1969, conosciuto anche come “la profezia dimenticata” dell’allora teologo:
Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali…Ma nonostante tutti questi cambiamenti che si possono presumere, la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale,
ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio Uno e Trino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro dell’esperienza e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà
un mandato politico flirtando ora con la sinistra e ora con la destra. Essa farà questo con fatica. Il processo infatti della cristallizzazione e della chiarificazione la renderà povera, la farà diventare una Chiesa dei piccoli, il processo sarà lungo e faticoso… Ma dopo la prova di queste divisioni uscirà da una Chiesa interiorizzata e semplificata una grande forza.
“Nella sua lucida interpretazione del futuro, Ratzinger rimaneva radicato nella storia senza ignorare gli aspetti conflittuali e di solitudine che si stavano preparando anche dentro la Chiesa. A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico… ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la
casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte. Voglio fare ancora una considerazione. La tradizione conta in numero di tre i Magi e l’iconografia li ha spesso
raffigurati con i tre esponenti dell’età della vita: uno anziano, uno adulto, uno giovane, spesso abbracciati a cavallo a significare che il cammino verso il Cristo va compiuto insieme, come chiesa. Senza forzare troppo il parallelo, mi pare di vedere nell’immagine di questi Sapienti ricercatori di Dio, la compresenza per dieci anni del papa emerito e del papa regnante. Impresa non facile perché si trattava di un inedito rischioso. Papa Benedetto aveva dichiaro che si ritirava nel silenzio, anche se papa Francesco lo invitò più volte: “Santità, lei riceva, faccia una sua vita, venga con noi” (intervista ai giornalisti 29 luglio 2013). Nel decennio papa Benedetto ha rilasciato circa una trentina di scritti; l’enciclica Lumen Fidei (luglio 2013) è di fatto scritta da entrambi. Mi sembra di poter dire che come due saggi hanno saputo accordarsi in un equilibrio non facile per non dare adito alle diverse alee ella galassia cattolica di citare e usare l’uno contro l’altro. È una testimonianza
che la Chiesa cattolica è più grande della sua storia travagliata e che sulla barca di Pietro sono saliti entrambi e hanno remato nella direzione del Regno. “Siamo fratelli”: come aveva indicato Francesco il 23 marzo 2013 a Castel Gandolfo, la prima volta che li abbiamo visti pregare appaiati e inginocchiati in adorazione del Signore che li ha chiamati al ministero petrino. Così è degli uomini di Dio che non si lasciano misurare da parametri
mondani, ma dalla “sottomissione” (termine affine a adorazione) al Signore e dalla obbedienza al suo Vangelo.
Oggi la Chiesa cattolica ha consegnato papa Benedetto alla misericordia del Padre. Anche la nostra chiesa mantovana manifesta il suo ricordo ammirato, il suo affetto grato, la sua preghiera di suffragio, l’impegno di raccogliere e far tesoro della sua eredità spirituale e dottrinale. Vogliamo pensare papa Benedetto XVI nel canto della liturgia celeste e la nostra liturgia terrestre chiede che possa godere la luce di Dio: “La gloria del Signore brilli sopra di te. Su di te risplenda il Signore, la sua gloria appaia su di te” conclude il vescovo.
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