L’omaggio di Mantova a Jolanda Dugoni: posata la pietra d’inciampo

MANTOVA – Cerimonia molto partecipata questa mattina per la posa della pietra d’inciampo in Corso Umberto 89 in città dove visse Jolanda Dugoni, unica deportata mantovana nel campo di sterminio nazista di Ravensbruck dal 1942 all’aprile del 1945 in Germania e venuta a mancare nel luglio del 2019, all’età di 94 anni. Ritornata a Mantova Jolanda diventò una delle principali testimoni degli orrori vissuti nel campo di sterminio,
portando il proprio contributo nelle scuole mantovane.
E’ stato il presidente provinciale dell’Anpi Luigi Benevelli a portare i saluti iniziali
ringraziando tutti quelli che hanno contribuito nei loro diversi ruoli a far si che potesse venire dedicata la pietra d’inciampo a Jolanda Dugoni, e quindi innanzitutto la stessa Anpi, Aned, Comune e Provincia, e Istituto Mantovano di Storia Contemporanea. Poi ne ha ricordato velocemente la storia, la figura e l’impegno. A ricordarne il valore e il suo lungo impegno nel diffondere quelli che furono gli orrori della Shoah sono stati anche il sindaco Mattia Palazzi e il vice Giovanni Buvoli.
Presenti alla cerimonia anche il fratello, la sorella e una nipote di Jolanda Dugoni e due classi quinte del Liceo Scientifico “Belfiore” di Mantova insieme ai loro insegnanti.

LA STORIA DI JOLANDA DUGONI

“Da oggi tu non sei più Jolanda Dugoni. Da oggi sei la prigioniera numero 30562. Ricordatele bene queste cifre e imparatele a memoria, in tedesco”.
Era il campo delle donne: quello che succedeva lì dentro aveva l’efferata e inspiegabile follia criminale che sociologi, storici, psichiatri e filosofi hanno tentato di spiegare. A Ravensbrücki gerarchi nazisti rifornivano i loro bordelli e il dottor Karl Gebhardt eseguiva gli esperimenti sulla rigenerazione delle ossa, dei muscoli e dei nervi, servendosi delle prigioniere come cavie. Le “sue” cavie nel campo, ha raccontato più volte la Dugoni, le riconoscevi perché zoppicavano; erano soprattutto polacche, le soprannominavano le lapin, le conigliette. Si trascinavano in giro con le gambe martoriate da cicatrici e ferite.

L’ARRESTO 

4 anni vissuti nel campo di sterminio sito a 90 km da Berlino. Aveva 19 anni quando ci è finita, per un motivo assurdo. Jolanda viveva in Francia dove la sua numerosa famiglia si è trasferita perché il padre, minatore a Frejus, era riuscito a riciclarsi come muratore. A scuola Jolanda subì le prime disciminazioni a causa delle sue origini italiane. L’insegnante stessa vietava agli alunni francesi di rivolgere la parola agli italiani, che chiamavano ‘macaroni’. A 16 anni la giovane lascia la scuola e trova lavoro in un bar; un giorno vede passare moltissime persone con la valigia in mano. Si avvicina ad uno di loro e gli chiede cosa stia succedendo, lui le spiega di essere ebreo e le rivela che stanno scappando in Italia. Il giorno dopo la polizia la preleva dal bar e la porta in questura: l’accusano di aver aiutato gli ebrei a fuggire, per via della chiacchierata del giorno precedente.

ANNI D’INFERNO 

Così Jolanda viene carricata su un treno merci, nel vagone del bestiame, insieme ad altri prigionieri. Una volta arrivata al campo di concentramento viene schedata, spogliata, lavata, rasata a zero e accompagnata in una baracca, la numero 7. E’ una prigioniera politica. Anni d’inferno dove vede le peggiori bassezze di cui l’umanità si è macchiata. Lei che i suoi vent’anni li compie e li vive in un campo di sterminio, fra compagne trattate come cavie umane che si augurano di morire il prima possibile. Con la pressione dell’Armata Rossa che incombe i tedeschi cercano di eliminare il maggior numero di prigioniere con le camere a gas, i forni e le armi da fuoco. Lo scopo era lasciare il minor numero di tracce dell’orrore. Jolanda resiste. Un giorno, alla fine di aprile del 1945, i cancelli del campo si aprono e la giovane torna finalmente a casa.

“VI PERDONO”

Jolanda Dugoni tornò a Ravensbrück nel 2006, 61 anni dopo da quando uscì finalmente libera dal campo di concentramento. Lo fece in occasione in occasione di un viaggio della Memoria organizzato dalla Provincia di Mantova durante il quale accompagnò due classi del Liceo classico e una del linguistico Virgilio. Nell’albo dei visitatori Jolanda scrisse solo due parole: “Vi perdono”.

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