Naufragio di Cutro, il vescovo Busca: “la giustizia è la misura minima della carità e va assicurata a ogni uomo”

CASTIGLIONE DELLE STIVIERE – E’ un’omelia forte, intensa, quella pronunciata dal vescovo Marco Busca due giorni fa al Santuario di Castiglione delle Stiviere in occasione  dell’anniversario della nascita – il 9 marzo – del santo aloisiano. Il vescovo prende spunto dalla parabola del ricco e del povero Lazzaro per fa riflettere sui recente fatti di Cutro.   Eccone uno stralcio:

I Lazzari di oggi sull’uscio di casa nostra

“…Questa parabola si presta a una lettura sociologica e planetaria. Tra il Nord e il Sud del mondo tutti vivono male. I ricchi, nonostante le varie crisi in atto, ancora banchettano sulla tavola del mondo occidentale, ma vivono impoveriti di spiritualità, speranza, valori etici, legami comunitari mentre aumentano il malessere psichico, i suicidi, l’invecchiamento. I Lazzari del Sud del mondo, impoveriti a lungo di risorse naturali, di cibo, di condizioni climatiche e ambientali sostenibili, attendono le briciole dal Nord e si avventurano in viaggi della speranza. Giungono all’uscio del nostro continente e ormai troppo spesso il Mediterraneo, culla di civiltà, si trasforma in una tomba di inciviltà. La tragedia del naufragio di Cutro ha smosso nel popolo italiano compassione e sgomento, interrogativi radicali sulle politiche nazionali e internazionali, sconcerto al pensiero di respingimenti e inazioni colpevoli che ricordano l’indifferenza e l’estraneità di epulone di fronte alle fragili vite di bambini in preda alle acque. Il sentimento della gente di quel territorio ha preso voce nelle parole del vescovo di Lamezia, già parroco a Steccato di Cutro: “Avremmo voluto accogliere queste persone da vive e non da morte, a noi non fanno paura i vivi, ci inorridiscono i morti”. I poveri ci sono di imbarazzo perché non sono solo il sacramento di Cristo presente nel povero, nell’affamato, nel prigioniero, nel profugo… sono anche il “sacramento del peccato del mondo”, sono il segno del cumulo del male che crea un “sistema” di ingiustizia.

La parabola evangelica ci provoca a recuperare l’elemento di equilibrio tra gli emisferi geopolitici ed economici: la responsabilità collettiva. Anzitutto verso il mondo occidentale perché non finisca per abbrutirsi, perdere dignità e civiltà. E la responsabilità verso i popoli fratelli del Terzo Mondo. San Paolo VI scriveva nell’enciclica Populorum Progressio del 1967: “Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli” (n. 66). Con parole ferme e nette esortava gli uomini di Stato: “Su voi incombe l’obbligo di mobilitare le vostre comunità ai fini di una solidarietà mondiale più efficace, e anzitutto di far loro accettare i necessari prelevamenti sul loro lusso e i loro sprechi per promuovere lo sviluppo e salvare la pace” (n. 84).

A chi oggi si dice cristiano e sceglie il Vangelo è chiesto di ridare voce alla profezia della giustiziaI poveri Lazzari di questo tempo non ci lascino banchettare tranquilli. La giustizia è “la misura minima della carità” e va assicurata per ogni uomo. La carità eccede la giustizia, perché l’amore comporta l’offrire del “mio” all’altro; ma non è mai senza la giustizia. La coscienza – che è il tribunale più severo – ci obbliga come cristiani e cittadini a dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere “creatura” invitata dal Creatore alla tavola della vita imbandita per tutti. Se perdiamo la sensibilità per la giustizia regredisce la civiltà. Non aspettiamo le tragedie per convertire la nostra coscienza civile. Non faranno il miracolo di renderci più giusti. Abbiamo “Mosè e i profeti”. L’ascolto delle Scritture e l’ascolto dei gemiti dei “Lazzari” sull’uscio di casa convertano le nostre coscienze, convertano la coscienza dei paesi europei”.