PEGOGNAGA – Per il 77° della Liberazione, a Pegognaga, il sindaco Matteo Zilocchi ha deposto sei allori: al Famedio, per i caduti di tutte le guerre; a casa di Bruno Rossi, vittima delle purghe staliniane ad Odessa; alla stazione ferroviaria, sei vittime dei bombardamenti, Donato Pignatta con la moglie Teresina Malavasi e la figlia Annamaria, Giuseppina Carini, Luigi Ghinami, Alma Vitali; alla Torretta della Resistenza partigiana; a Galvagnina, cippo al partigiano Pietro Malagoli; a Polesine, monumento ai caduti.
E’ stata una celebrazione molto partecipata. Articolato il discorso del sindaco. che si è rifatto al diario di Vincenzo Lasagna, comandante partigiano, sindaco poi di Pegognaga dal 1948 al 1957 «Nel cielo cupo – scriveva Lasagna – di domenica 22 aprile ’45 si erano visti numerosi voli radenti di aerei alleati, mentre continuava la fuga precipitosa dei tedeschi di stanza a Pegognaga. Le strade erano deserte, la gente rinchiusa nelle case. La sera un gruppo di partigiani uscì da Corte Bagna per requisire gli edifici scolastici occupati dalla G.N.R. e dal comando tedesco del generale Von Maeltzer. Nella notte 22-23 aprile, i partigiani bussarono alle porte delle case dei repubblichini per recuperare le armi, sulla scorta di un elenco compilato secondo le indicazioni di un ex fascista. Le porte si aprirono con diffidenza: visi impalliditi, fronti imperlate di sudore, la concitazione dei gesti rivelava come nessuno tra loro sentisse che in quel momento non si realizzava un semplice trasferimento di poteri, ma il passaggio da un regime di barbarie alla libera democrazia. Alle ore 11 del 23 aprile ’45 i mezzi corazzati alleati comparvero in piazza Matteotti, accolti da una folla con fiori e bandiere tricolori. L’edificio delle Scuole Professionali ospitava 63 tedeschi, poi avviati nei campi di concentramento in Toscana. Pegognaga godeva delle prime ore di libertà. Il CNL assunse tutti i poteri, nell’impegno di ristabilire la democrazia e la libertà».
Zilocchi ha quindi sottolineato «Siamo qui per affermare con assoluta certezza che quando un Paese viene invaso ha il diritto di resistere, di lottare per la propria libertà. Allo stesso tempo quelle Nazioni che non si riconoscono nella Guerra hanno il dovere di condannare e contrastare l’avanzare del conflitto con lo scopo di riportare la pace».
Elia Scanavini, giovane segretario Anpi, aveva poco prima pronunciato toccanti parole «A mia memoria è il primo 25 Aprile che trascorriamo con questo grado di tensione ed incertezza. Ma è la ferita aperta da questa guerra (in Ucraina, n.d.r.) che ha spazzato via quel poco di serenità, che pensavo potessimo riacquistare con la primavera e festeggiare anche oggi. Il 24 febbraio scorso la storia di questo secolo ha sterzato bruscamente ed è venuta a galla, non mi vergogno a dirlo, la mia personale sensazione di inadeguatezza, impreparazione, paura nei confronti di questo evento così devastante appena fuori dalla porta di casa». Dopo aver ricordato gli ultimi tre partigiani recentemente scomparsi, Angeli, Battoni e Cavicchioli, ha concluso «La democrazia e la libertà erano e sono assolutamente un bene supremo e intoccabile, ma l’equilibrio che conoscevo mi sembra messo in pericolo. Oggi penso si debba rileggere la Resistenza come atto di fiducia e speranza nel futuro». Al percorso cerimoniale hanno partecipato giunta, maggioranza e minoranza, nonchè il parroco don Flavio Savasi.
Riccardo Lonardi