MANTOVA – Una sala slot e un bar, entrambi in Viale Partigiani, erano i due locali che “coprivano” gli affari sporchi di Carlo Pezzo, il 38enne originario di Vibo Valentia, arrestato all’alba di martedì scorso nell’ambito dell’operazione “Cerbero”, con l’accusa di reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Con lui, un’altra settantina gli arrestati nell’ambito dell’operazione condotta dal Nucleo Investigativo di Torino e di Mantova tra l’hinterland piemontese e Reggio Calabria, Milano, Catania e, appunto, Mantova.
Nei due locali, forse sentendosi braccato, Pezzo ultimamente si vedeva sempre meno. Il 29 aprile il questore Paolo Sartori aveva revocato la licenza della sala scommesse per sospetti legami con le cosche, e lui era uscito nel frattempo anche dalla Calamita srl, società apparentemente in regola ma dove l’ipotesi di finanziamenti non proprio “puliti” stava diventando sempre più concreta. Anche il Comune di Mantova lo teneva sotto scacco: due settimane prima dell’arresto, lo Sportello unico aveva revocato la licenza del bar e della sala giochi e bloccato l’operatività delle due società che li avevano in gestione. Non solo: pare che sempre il Comune già a gennaio avesse sollevato non pochi dubbi nel corso dei lavori per il cambio di destinazione di uno dei due locali, da uso commerciale a sala slot, effettuati dallo stesso Pezzo senza il necessario permesso di costruire, tanto da segnalarne il nome alla Procura per abusi edilizi accertati.
I dubbi su Pezzo c’erano già da tempo, dunque. A confermare le ipotesi, le sue attività di copertura, fondamentali per il suo ruolo come referente mantovano della cosca.