MANTOVA – Un femminicidio brutale, ma non premeditato. È questa, in estrema sintesi, la valutazione dei giudici sul femminicidio di Yana Malaiko, uccisa a Castiglione delle Stiviere tra il 19 e il 20 gennaio 2023. Per il delitto, Dumitru Stratan è stato condannato a 20 anni di carcere. Il corpo di Yana Malaiko fu ritrovato il 1° febbraio 2023 in zona Valle, tra Castiglione e Lonato, dopo giorni di ricerche e l’arresto dell’ex compagno.
Niente ergastolo, dunque, perché – come scritto nelle 63 pagine di motivazioni della sentenza – “non si poteva configurare la premeditazione”, aggravante che avrebbe potuto costare l’ergastolo all’imputato.
Secondo la Corte, “giova evidenziare la distinzione tra la premeditazione – quale radicamento e persistenza costante nella psiche del reo, per apprezzabile lasso di tempo, del proposito omicida – e la mera preordinazione del delitto, intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase ultima che immediatamente la precede”. In altre parole, anche se Stratan avesse messo in atto azioni preparatorie, ciò non significa che ci fosse stata una “intensa riflessione” tale da configurare l’aggravante.
La pubblica accusa aveva puntato sulle minacce di morte pronunciate da Stratan il 15 gennaio nel bar della sorella Cristina, dove Yana lavorava. Ma per i giudici quelle frasi “non possono essere considerate indici sicuri di una deliberazione ad eseguire l’omicidio coltivata nel tempo e mai abbandonata”.
Non è stato nemmeno possibile accertare con certezza che sia stato proprio Stratan a rimuovere le telecamere dell’ascensore del palazzo, come sostenuto dall’accusa per dimostrare un presunto piano di depistaggio. La Corte, anzi, sottolinea la “evidente improvvisazione” delle sue azioni dopo il delitto.
“L’indignazione e il risentimento manifestati dall’imputato nei confronti di Yana nei giorni antecedenti all’omicidio, pur essendo certa conseguenza del definitivo distacco della ragazza, palesato dalla decisione della stessa di iniziare a frequentare un altro ragazzo, non possono ritenersi decisivi al fine di far risalire il proposito omicidiario ai giorni antecedenti al 20 gennaio 2023”.
A sostegno della tesi del delitto d’impeto, viene ricordato che Stratan “improvvidamente si sia lasciato riprendere dalla telecamera presente nell’appartamento quando, sporco di sangue, dopo la commissione dell’omicidio, usciva dalla zona notte”. Né ha verificato il funzionamento delle telecamere condominiali, che infatti lo “immortalavano nell’atto di trasportare la valigia in cui poi sarebbe stato ritrovato il cadavere di Yana, senza lasciare adito a dubbi in ordine all’identità del suo assassino”.
Un altro elemento ritenuto rivelatore dell’assenza di pianificazione: “l’imputato ha occultato il cadavere utilizzando un trolley (non abbastanza capiente da contenere interamente il corpo della vittima), del cellophane, un lenzuolo e un plaid già presenti all’interno dell’abitazione della sorella Cristina, che li riconosceva come propri”.
La sentenza dello scorso 6 marzo, aveva provocato la rabbia e l’indignazione del padre della giovane, Oleksander, parte civile e assistito dall’avvocato Angelo Lino Murtas. Oleksander aveva commentato “nessuna donna è al sicuro in Italia con queste sentenze”. Scontato il ricorso in appello, che era stato annunciato poco dopo la lettura del dispositivo.