Il banchetto per la mostra su Mantegna del ’61 spartiacque della cucina mantovana e italiana

MANTOVA – La grande mostra su Andrea Mantegna allestita a Palazzo Ducale nel 1961 non solo, per come venne organizzata, sarebbe stata considerata negli anni a venire la prima esposizione italiana, a livello internazionale, di concezione moderna, ma fu proprio grazie a quella mostra che nacque la gloriosa cucina mantovana. Nel pranzo di gala tenutosi per l’occasione nella Sala del Cavalli a Palazzo Te il 23 settembre 1961, con oltre trenta portate e settanta vini, lo chef Angelo Berti e il suo collaboratore Giorgio Gioco, (quest’ultimo poi per lunghissimi anni anima del Ristorante Dodici Apostoli di Verona) ebbero l’idea di proporre un menù rinascimentale, con alcuni piatti che da allora ebbero una grande fortuna, come il Cappone alla Stefani o la Pappa di Mantova (dolce per la verità che negli ultimi anni è stato abbastanza dimenticato).
E’quanto illustrato oggi pomeriggio durante l’evento a Palazzo Ducale dal titolo “Esiste una cucina mantovana?“, organizzato dalla Società per il Palazzo Ducale, che ha visto protagonista Alberto Grandi, lo scrittore e docente universitario mantovano diventato famoso per aver ‘smontato’ nei suoi libri la secolarità della cucina italiana.
Incalzato dalle domande del presidente della Società per il Palazzo Ducale Sandro Sarzi Amadè, Grandi ha spiegato che a considerare il banchetto gonzaghesco al Te come lo spartiacque della cucina mantovana è nientedimeno che il celebre storico della gastronomia italiana Alberto Capatti, primo rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Un’autorità dunque in materia. Ma quel sontuoso pranzo che tra tante le portate vide Antipasti alla Rigoletto, Consommè Isabelle d’Este, Maltagliati alla Brentatora, Agnolotti alla Buonaccolsi, Carni rosate al vino e spezie alla moda dei Canossa…., fece anche da spartiacque per l’intera cucina italiana perchè propose piatti di una bontà assoluta creando intorno a loro una storia antica che in verità antica non era.
Non male però per i mantovani, orgogliosissimi della propria cucina, sapere che la successiva fortuna della cucina italiana sarebbe strettamente legata a una vicenda nata tra le mura del Te.
Due anni dopo, nel 1963, arrivò il libro “Cucina mantovana di principi e di popolo” di don Costante Berselli, firmato con lo pseudonimo di Gino Brunetti, che per primo descrisse le ricette della cucina virgiliana, da quelle del cuoco dei Gonzaga Bartolomeo Stefani a quelle della tradizione popolare. Don Berselli non menziona minimamente molti dei piatti che oggi vengono considerati frutto di una tradizione mantovana secolare. Non c’è traccia ad esempio di tanti dolci, dalla Torta delle Rose alla Greca all’Anello di Monaco. C’è però la Sbrisolona che Grandi è sicuro “essere comparsa tra le due Guerre perchè prima non vi è traccia della sua esistenza”.
E che ne è dei gloriosi primi piatti come agnoli e tortelli di zucca?Bartolomeo Stefani (il cuoco di corte dei Gonzaga nel seicento ndr) parla di agnolini ma con carne di cappone, midollo di bove e spezie” spiega Grandi. Insomma una ricetta parecchio diversa da quella con cui oggi vengono preparati gli agnoli. Per i tortelli entra in gioco la famosa filastrocca dello scrittore e docente mantovano Ettore Berni (1852-1927)
“…dag la  forma  d’on  capèl;
e  s’at  vol  po’  fart’ onor, d’ on capèl da  <portador >;
e s’at  vol  chi  diventa fin fai pu gros d’on  agnolin.”
La filastrocca pare risalga a non oltre il 1915 e nella ricetta che Berni indica per il ripieno viene indicata la “mostarda di Cremona”. Perchè non quella mantovana? “Semplicemente perchè all’epoca non esisteva” spiega Grandi lasciando sbigottiti molti in platea. Il professore poi parla di dolci con il “chisol, la chisola e il mirto” e tiene altissima l’attenzione del numeroso pubblico che al termine non ha perso l’occasione, anche durante la merenda finale, di subissarlo di domande.
Un pubblico rimasto parecchio incredulo di fronte a tante spiegazioni, che hanno fatto luce su origini e tradizioni della cucina mantovana, togliendo in molti casi però le certezze di una vita in campo culinario. Quel che rimane certo è la qualità di una cucina che, dalla terra di Virgilio e dei Gonzaga, si è fatta onore nel resto del Paese, magari facendosi contaminare un po’ da quella delle otto province confinanti ma allo stesso tempo contaminando, con il suo trionfo di sapori, quella di quest’ultime.