MANTOVA – “Nella provincia mantovana, il fascismo nasce in ambienti studenteschi nel 1920 ma riscuote scarso successo. Bisognerà aspettare il 1921 per vederlo prendere piede, quando inizia a diffondersi nelle campagne, e da subito si caratterizza per la sua violenza”. Parte da queste considerazioni la riflessione sul fascismo mantovano dalle origini al delitto Matteotti dello storico don Giovanni Telò che, oggi pomeriggio, ha illustrato il tema durante una conferenza, tenutasi al Palazzo del Plenipotenziario a Mantova, evento collaterale della mostra “Giacomo Matteotti e la libertà liberatrice”, che si potrà visitare fino al 30 marzo.
“Gli squadristi utilizzavano la violenza come strumento di lotta politica per combattere gli avversari: socialisti, comunisti e cattolici. Questo sistema prosegue fino alla metà degli anni Venti, raggiungendo il suo culmine il 19 settembre 1926, con l’uccisione, a Castel Goffredo, del maestro cattolico Anselmo Cessi” prosegue Telò che da anni approfondisce questi argomenti. Di recente ha scritto il saggio “Gli squadristi ‘tutto incendiano’. La nascita del fascismo nel Mantovano”, che verrà pubblicato sul prossimo numero del “Bollettino storico”, rivista dell’Istituto mantovano di Storia Contemporanea.
Telò, rispondendo a una domanda sull’attualità della figura di Giacomo Matteotti e del suo messaggio, ha risposto: “E’ un personaggio che non si è tirato indietro nei momenti più difficili ma ha sempre lottato per la libertà, per la difesa dei diritti costituzionali che c’erano a quel tempo, e si è battuto per la verità. Il fascismo infatti nel periodo in cui viene ucciso era al centro di situazioni e scandali nei confronti dei quali Matteotti non ha mai fatto cessare la propria voce e la propria denuncia”.