Il taglio del cuneo fiscale diventa un boomerang: lavoratori dipendenti più tassati

La scelta del governo Meloni di rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale trasformandolo in una serie di detrazioni fiscali per i lavoratori dipendenti, introdotta con la legge di bilancio 2025, si sta rivelando un’arma a doppio taglio. Invece di alleggerire la pressione fiscale, la riforma ha finito per aumentare il prelievo sui redditi da lavoro dipendente, penalizzando soprattutto i redditi più bassi.
È quanto emerge chiaramente dal Rapporto sulla politica di bilancio redatto dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). La nuova struttura dell’Irpef, più progressiva ma anche più esposta al cosiddetto fiscal drag o drenaggio fiscale, sta riducendo gli effetti positivi delle misure annunciate dal governo. Il fiscal drag è un fenomeno noto: quando i salari aumentano per effetto dell’inflazione, i contribuenti finiscono per scalare verso aliquote più elevate senza che il loro potere d’acquisto reale migliori. In assenza di un adeguamento degli scaglioni fiscali, le tasse aumentano automaticamente.

Secondo la simulazione condotta dall’Upb, a parità di inflazione rispetto al 2022, i lavoratori dipendenti hanno subito un aumento medio del 13% delle imposte, pari a 370 milioni di euro di maggiore gettito. Un operaio paga ora un’imposta superiore del 5,5% (circa 79 euro in più), mentre per gli impiegati l’aggravio è ancora maggiore: 141 euro pro capite, per un totale di 1,2 miliardi. In confronto, prima della riforma il maggior esborso previsto sarebbe stato più contenuto: +3,2% per gli operai e +116 euro medi per gli impiegati. L’Upb sottolinea che in un contesto in cui gli aumenti salariali non hanno compensato pienamente l’inflazione — che tra il 2022 e il 2024 ha accumulato un +15% — l’aumento delle imposte rischia di erodere ulteriormente i già fragili incrementi nominali delle retribuzioni. Con conseguenze negative prevedibili sui consumi e sulla domanda interna.

«La recente riforma fiscale», osserva ancora l’Upb, «ha reso il sistema più progressivo e dunque più esposto al drenaggio fiscale, amplificando l’impatto di eventuali pressioni inflazionistiche». Il problema riguarda principalmente i lavoratori dipendenti: altre categorie di contribuenti — come pensionati, autonomi e proprietari immobiliari — non subiscono incrementi significativi in quanto non interessate dalle nuove detrazioni. Un tempo, per evitare questi effetti distorsivi, gli scaglioni Irpef e le detrazioni venivano automaticamente indicizzati all’inflazione. Tale meccanismo è stato abbandonato negli anni Novanta, lasciando i lavoratori sempre più vulnerabili a questa trappola fiscale.

Manovra sotto pressione

Il rapporto dell’Upb guarda anche oltre il tema del drenaggio fiscale e lancia un monito sulle prospettive di finanza pubblica. La legge di bilancio 2025 ha già utilizzato quasi tutti gli spazi disponibili. In assenza di un miglioramento della dinamica della spesa, nuovi interventi — come l’aumento delle spese per la Difesa — richiederanno coperture attraverso nuovi aumenti delle tasse o tagli strutturali alla spesa pubblica.

Focus sull’evasione fiscale

Infine, la presidente dell’Upb Lilia Cavallari ha richiamato la necessità di un’azione più incisiva contro l’evasione fiscale, definita ancora tra le più alte in Europa. Nonostante i progressi registrati soprattutto nel contrasto all’evasione Iva, resta essenziale rafforzare la capacità di riscossione per garantire la sostenibilità dei conti pubblici senza gravare ulteriormente sui contribuenti onesti. In sintesi, quella che doveva essere una riforma a favore dei lavoratori rischia ora di trasformarsi in una beffa, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione, già messe a dura prova dal caro vita.