Pnrr, perché l’Italia non riesce a spendere i fondi europei?

Raffaele Fitto

Sembra il paradosso perfetto. Le risorse ci sono, e tante, ma non si riescono a utilizzare. Qualsiasi ragionamento sull’attuazione del Pnrr finisce nello stesso vicolo cieco: l’Italia non sa spendere i fondi che ha, o avrebbe, a disposizione. Come è possibile? La risposta più immediata, e anche la più semplice da dare e la più difficile da spiegare, è che non ci sono le competenze necessarie per fare i progetti che servono, mettere in moto la macchina amministrativa e rispettare le scadenze previste.

La domanda che segue, la seconda, è sempre la stessa. Come è possibile? La risposta finisce inevitabilmente nel campo delle responsabilità, che vengono subito distribuite secondo convenienza. Colpa dell’attuale governo. No, colpa del precedente governo. Invece, è colpa delle amministrazioni locali. Anzi, sono i ritardi accumulati e stratificati nel tempo a spiegare perché, e lo dice la storia, il rapporto tra l’Italia e i fondi europei è storicamente pessimo. Si può andare avanti all’infinito, e a ogni scarico di responsabilità si descrive un pezzo del problema.

La relazione della Corte dei Conti contribuisce a dare una cornice per circoscrivere il tema. La magistratura contabile analizza lo sviluppo finanziario, “guardando ai flussi che transitano sulle specifiche contabilità di tesoreria, prevalentemente per i nuovi progetti, e a quelli del bilancio, per gli investimenti in essere”. E rileva che ”un esercizio di confronto tra questi flussi, il cronoprogramma finanziario e il complesso delle risorse per nuovi progetti del Pnrr”, porta ad evidenziare come ”oltre la metà delle misure interessate dai flussi mostri ritardi o sia ancora in una fase sostanzialmente iniziale dei progetti”.

L’opposizione rileva, da una parte, che i problemi iniziano quando il governo “ha cominciato a parlare di modifiche e di rinvii, senza nemmeno spiegare come” e, dall’altra, chiede “un’operazione verità”. La parole del ministro che ha la responsabilità diretta del Pnrr, Raffaele Fitto, hanno sollevato ulteriori dubbi e polemiche. “Sul Pnrr bisogna essere chiari: alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa”.

Dalla cabina di regia che si è svolta a Palazzo Chigi, presieduta proprio da Fitto, e che ha visto coinvolti tutti i ministri competenti, è emersa la necessità di mettere alcuni punti fermi: verifica sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi rendicontati ai fini della terza rata; stato dell’arte e attuazione di milestone e target in scadenza nel primo semestre 2023, anche con riferimento agli adempimenti in capo ai soggetti attuatori; avanzamenti sul capitolo RepowerEu.

Ognuno di questi capitoli presenta una serie di questioni collegate. Quando si parla di ‘terza rata’ si parla di una tranche che la Commissione Ue dovrà autorizzare, o meno, a fine aprile. Servono approfondimenti, e chiarimenti, su tre dossier. La riforma della concessioni portuali, con carenze sulla concorrenza legate in particolare all’assenza di limiti temporali; alcuni interventi sulle reti di teleriscaldamento; alcune misure dei ‘Piani urbani integrati’, nello specifico il ‘Bosco dello Sport’ di Venezia e la ristrutturazione dello stadio Franchi, a Firenze. Tutti e tre i provvedimenti, ricorda il governo, risalgono all’era Draghi. Milestone e target, ovvero traguardi e obiettivi, sono gli indicatori che descrivono l’avanzamento e i risultati delle riforme e degli investimenti che si propongono di attuare. E se ci sono stati problemi per la tranche ancora non approvata, e riferita allo stato di avanzamento al 31 dicembre scorso, se ne prevedono anche, e in misura più consistente, per la nuova tranche. Pesa la lentezza nel processo legislativo e anche la farraginosità della trasmissione dal livello centrale a quello periferico (buona parte dei i soggetti attuatori). Quando si parla di modifiche rispetto ai piani originari del Pnrr, quelli varati prima dello scoppio della guerra in Ucraina, si fa riferimento soprattutto alle modifiche e alle integrazioni legate al piano RepowerEU. In estrema sintesi, le misure necessarie per risparmiare energia, produrre energia pulita, diversificare l’approvvigionamento energetico.

Quando ci si chiede come sia possibile che l’Italia non sia capace di spendere i fondi europei, si arriva puntualmente a un intreccio di intoppi che investono il Governo, il Parlamento, l’amministrazione pubblica centrale e le amministrazioni locali, per la parte pubblica, e tutte le aziende coinvolte, per la parte privata. Ruoli e persone che devono concorrere necessariamente ai risultati parziali e a quelli finali. Resta però la responsabilità politica ‘a monte’ che non può che essere, per definizione, di chi guida il Paese e non può permettere che perda un’occasione irripetibile come quella del Pnrr. (Di Fabio Insenga)

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(Adnkronos)

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