2020, il lavoro tra speranza e futuro

2020, il lavoro tra speranza e futuro

Tra i tanti volti incrociati durante la mia attività nell’anno che abbiamo appena salutato ce n’è uno che difficilmente dimenticherò. Quello di una delegata delle Rsu Corneliani all’uscita, un paio di settimane fa, dall’incontro con il vescovo Marco Busca a cui aveva partecipato insieme agli altri rappresentanti sindacali dell’azienda.
Mostrava, guardandola con un misto di orgoglio e dolcezza, la busta contenente la lettera che il vescovo aveva loro consegnato da leggere in assemblea, e di cui non conoscevano ancora il contenuto se non per l’immagine che avevano intravisto di San Giuseppe che protegge la fiammella in segno di protezione e di difesa dell’altro. Negli occhi di quella donna si leggeva l’emozione ma soprattutto la speranza di poter ancora dire insieme ai colleghi “la Corneliani siamo noi”, di poter rivendicare ogni giorno, come da tanti anni, la propria dignità di lavoratrice e di donna.
Poi, rivolgendosi a noi cronisti, tutti insieme ci hanno ricordato come quella della loro fabbrica fosse una vertenza di “serie A” ma di non dimenticarci delle crisi aziendali “di serie B”, quelle che non fanno notizia ma che ogni giorno continuano a mietere tanti posti di lavoro.
La speranza sul volto di quella donna è la stessa che ieri sera nel suo discorso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, riprendendo le parole dell’astronauta Luca Parmitano, ci ha spiegato che “consiste nella possibilità di avere sempre qualcosa da raggiungere”.
E a Mantova abbiamo festeggiato un altro Capodanno con troppi che, per non rinunciare alla speranza di un lavoro, lasciano questa terra. Un’emorragia fatta di tre giovani al giorno che emigrano dicono le ultime cifre, perpetuando quelle degli anni precedenti in una provincia dove pochi sembrano capire che negare un futuro ai propri giovani significa rinunciare alla stessa idea di avere un futuro.
Nel 2020 a cui abbiamo dato il benvenuto, per la prima volta, il mondo avrà più persone con oltre trent’anni di età, che meno. In Italia coloro che hanno più di sessant’anni sono più numerosi di chi ne ha meno di trenta. In questo quadro diventa di un’urgenza irrimandabile invertire la rotta. Forse siamo all’ultima chiamata per recuperare una prospettiva di Paese dove si capisca che le sfide che abbiamo di fronte non si possono vincere privilegiando gli interessi particolari rispetto a quelli collettivi e continuando a sospendere il giudizio sul futuro.
Bisogna avere il coraggio di fare delle scelte, quella di una politica industriale che manca da trent’anni innanzitutto e, dentro a questa, investire perché le scelte familiari siano viste come il perno dello sviluppo e non come il suo freno.
Ci sono sfide enormi e enormi ingiustizie da rovesciare che non si potranno affrontare continuando a fare tanto rumore per nulla o peggio, a permettere che il nulla faccia rumore.
Si potrà fare quindi molto poco votando per chi raccoglie il consenso raccontando le bugie più grandi (fa riflettere a tal proposito che dal 1948 al 1992 chi governava in Italia non abbia mai perso le elezioni pur con alleanze nuove in Parlamento e dal ’92 ad oggi il governo abbia sempre perso). Thomas Friedman alcuni anni fa, parlando delle elezioni americane, disse: “non metterti mai in una posizione per cui il tuo partito vinca solo a prezzo del fallimento del tuo Paese”, parole che se facessimo nostre aiuterebbero da sole a costruirci un futuro.
Occorre poi saper fare squadra e in una Mantova che si avvia, a livello locale, all’appuntamento elettorale più importante con il voto nel capoluogo, bisogna riconoscere il grande sforzo che è stato fatto in questa direzione. Negli ultimi giorni, passeggiando per la città, si sente parlare in inglese, tedesco, spagnolo, francese e anche in qualche lingua meno facilmente decifrabile. Non era mai accaduto ed è una sensazione bellissima. Ci si sente cittadini del mondo pur in una piccola realtà che ha avuto il coraggio però di fare scelte importanti, su fronti diversi.
Ora la sfida è di ampliarle ad altri orizzonti, quello del lavoro innanzitutto per il quale però bisognerebbe attivarsi insieme almeno in un contesto provinciale, per far fronte a dinamiche che sempre più spesso si muovono in una dimensione continentale, se non addirittura globale.
L’auspicio è dunque quello di ripartire da qui, con coraggio, iniziando a mettere al centro dell’agenda quell’economia sostenibile da tempo auspicata, senza dimenticare mai però che il lavoro lo creano soprattutto le imprese, che queste vanno quindi aiutate ma con la garanzia che, a loro volta, si adoperino per il recupero di quell’equità sociale che da troppo tempo è venuta meno.
Si può fare, con l’impegno di tutti, per far soffiare un nuovo vento, ricordandosi però che per alzarsi alti in volo, bisogna sempre andare controvento.

Buon anno!!