MANTOVA – Oggi in Italia si dichiarano riformisti praticamente tutti i protagonisti della politica (a destra e a sinistra), dell’economia, dello sport, della cultura; il problema è che da oltre un quarantennio le indispensabili riforme (da quelle costituzionali alla giustizia, dalla burocrazia al fisco…) che servirebbero al nostro Paese per essere più moderno e maggiormente competitivo nello scenario internazionale sono rese impossibili da anacronistici veti incrociati, da una generale mancanza di coraggio della classe dirigente, da una strenua difesa corporativa di interessi di parte contingenti priva di ogni visione strategica del futuro. Essere riformisti nel 2021 non è un vacuo esercizio di stile o una utopistica dichiarazione d’intenti ma significa avere come riferimento una stagione in cui la prevalenza dello spirito riformista ( laico, socialista, cattolico, progressista) ha prodotto epocali, e apparentemente impossibili, trasformazioni (sanità da privata a pubblica, riforma ospedaliera, scuola media unificata, decreti delegati, statuto dei lavoratori, divorzio, aborto…) che hanno permesso all’Italia di conquistarsi un ruolo nel mondo.
Non basta, però, professarsi riformisti o riscoprire il socialismo liberale di Carlo e Nello Rosselli, come va ora molto di moda, per intestarsi culturalmente quel pensiero bisogna invece aver battuto gli stessi marciapiedi, condividerne il dna, il senso etico in sostanza l’anima più sincera. E, poi, si deve saper riempire di contenuti, adeguati al momento e ai profondi cambiamenti che la pandemia ha provocato nella società italiana, il concetto di riformismo: una forza di sinistra (il campo di gioco che m’appartiene) non può che partire da valori radicati nella sua storia come la libertà, la democrazia, la solidarietà, la laicità (intesa come pluralismo contrapposto a un malinteso statalismo), riallacciando nel contempo il dialogo con i giovani, le periferie, gli ultimi.
In questi tragici giorni dove l’emergenza medica e una devastante crisi economica si intersecano sempre più tocca ai riformisti porre argine a un sovranismo (per nulla sconfitto) populista e giustizialista che condannerebbe l’Italia alla catastrofe; del resto dalla drammatica situazione che stiamo vivendo o se ne esce con uno Stato più efficiente, giusto, moderno, europeo o condanniamo le generazioni future a un avvenire di piccolo cabotaggio che non meritano. E allora è il momento che i generali senza esercito che si affannano alla ricerca di sé stessi avviino senza egoismi un percorso comune basato sule questioni (Europa, centralità della politica, istruzione, sanità, diritti civili e sociali, attenzione per i più deboli, industrializzazione, giustizia, condizione femminile, sviluppo sostenibile…) che da sempre costituiscono il patrimonio genetico riformista. Non c’è tempo da perdere: idee, donne e uomini di valore non mancano serve la consapevolezza del momento e la voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo perché come diceva Michael Jordan “i limiti come le paure spesso sono solo illusioni”.