di Dino Perboni – La fusione Fca e Psa darà vita al quarto colosso mondiale dell’auto con quasi 10 milioni di veicoli prodotti, dopo Volkswagen, Renault-Nissan e Toyota. Un’operazione transnazionale e transcontinentale che vale 50 miliardi di euro; la nuova società diverrà il quarto costruttore automobilistico al mondo in termini di volumi e il terzo in base al fatturato, con vendite annuali di 8,7 milioni di veicoli e ricavi congiunti di quasi 170 miliardi di euro.
L’aggregazione sarà complessa visto la presenza di quattordici da intersecare: quattordici marchi automobilistici sono più di quelli che gestisce l’intero gruppo Volkswagen, il primo della classe per dimensione. Le nozze tra Fca e Psa saranno alla pari: 50% Fca e 50% Psa. Come in ogni fusione bisognerà evitare i rischi di sovrapposizione per i prodotti e quelli legati all’identità e posizionamento dei marchi, allo scopo di realizzare la giusta strategia di mercato. Elemento di grande novità è la presenza, nel board del nuovo gruppo automobilistico, di due rappresentanti dei lavoratori, uno per Psa e uno per Fca.
Una svolta sul fronte della partecipazione in Italia, dove ancora non si sono fatti significativi passi in avanti in questa direzione. Con il Patto della Fabbrica, finalmente anche in Italia si è introdotto il principio della partecipazione dei lavoratori all’attività dell’impresa; tuttavia, ancora non sono nate forme di rappresentanza dei lavoratori azionisti, modello diffuso negli Stati Uniti e che in Europa vede la Germania come primato. La presenza di due rappresentanti dei lavoratori nella fusione fra Fca e Psa, è comunque di grande interesse per la svolta verso la partecipazione dei lavoratori alle imprese. Per la Cisl la partecipazione è il tema fondamentale per dare qualità al contributo che i lavoratori portano all’impresa e valorizzare il lavoro che essi svolgono nelle aziende.
Questo dovrebbe essere il modello da adottare in tutti i diversi processi di fusione ed aggregazione, dove non prevale un’azienda o un altro soggetto, ma che ci sia equilibrio fra i soggetti o le imprese aggreganti e che vi sia la presenza, nel consiglio di amministrazione degli azionisti, di una rappresentanza dei lavoratori; solo così potremo celebrare matrimoni fra imprese che valorizzano i siti produttivi italiani e le loro maestranze, altrimenti avremo altre situazioni come quelle che abbiamo vissuto nella nostra Provincia come il caso Ies, l’ex Banca Agricola Mantovana e oggi Corneliani. Si tratta di una nuova strada del capitalismo, non mordi e fuggi dedito solo al profitto per il profitto, bensì attraverso la partecipazione dei lavoratori ne risalti e valorizzi il contributo dando alla costruzione delle imprese e delle loro aggregazioni una dimensione di natura sociale oltre che economica. Il futuro che ci attende può essere o un rigido modello sociale-economico impostato sulla gerarchia del trinomio controllo-digitalizzazione-efficienza oppure su un modello sociale-economico basato sulla trilogia inclusione-partecipazione-competenze. Per la Cisl quest’ultimo è il modello da perseguire che vale non solo per lo sviluppo economico, ma per l’intero Paese.
Dino Perboni
Segretario Generale Cisl Asse del Po