A Mantova cristiani e musulmani uniti di fronte al dramma dell’Afghanistan

MANTOVA – Un incontro interriligioso per porre l’attenzione sulla situazione attuale del popolo afghano, verso la quale non è possibile restare indifferenti. E’ quello svoltosi questa mattina a Mantova, presso il Centro Pastorale diocesano di via Cairoli, promosso da Caritas diocesana e Servizio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, a cui hanno partecipato i membri di alcune comunità cristiane cattoliche e islamiche del territorio unite di fronte alla drammatica situazione che sta mettendo a dura prova il popolo afghano:
E’ stato sottolineato come le religioni possano offrire ai credenti molti doni come solidarietà, ospitalità, giustizia e una generale promozione umana. Questi sono schiacciati dal potere oppressivo che in quella nazione ha scatenato la violenza che abbiamo visto sui media di tutto il mondo.
Don Samuele Bignotti, incaricato diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, ha aperto l’incontro ricordando che “vedere violata la promozione umana spero abbia suscitato in tutti noi il sentimento della compassione, che sola ci apre alla riflessione e all’azione a sostegno della vita degli altri. Siamo cristiani e musulmani capaci di compassione, perché è al centro delle nostre tradizioni religiose. Ci proponiamo quindi di guardare alle vicende di questo periodo con uno sguardo nuovo, che ci fa conoscere gli altri come fratelli e sorelle”.
Elena Spagna del Giardino delle Beghine, associazione culturale che si propone di promuovere le relazioni legate al mondo femminile, ha detto: “mi sento disorientata di fronte al forte carico emotivo delle molte informazioni mediatiche che abbiamo visto in questi giorni, sento il bisogno di una riflessione comune per guardare queste vicende senza lasciarsi travolgere e per cercare insieme dei percorsi di speranza a partire dal dialogo e l’incontro tra le diverse fedi sul territorio”
Ha preso parte all’incontro anche Amin Kharrat, medico, uno dei primi cittadini siriani arrivato negli anni 80 in Italia, che da molti anni si impegna per l’integrazione e l’incontro tra popoli e culture diverse. Amin conosce bene la storia dell’Afghanistan, e ha ripercorso le ferite di questo popolo. “Mi sento deluso, il popolo afghano ha sempre desiderato vivere in pace, ma da decenni subisce una condizione di guerra fortemente influenzata dalle occupazioni straniere. Sono molto preoccupato in particolar modo per i bambini, come sarà il loro futuro? Penso al rischio che venga trascurata la loro formazione scolastica, che è il primo passo per promuovere la pace. Il mio messaggio è che il dialogo è l’unico modo per costruire una civiltà umana”
Atif Nazir, pakistano, da vent’anni in Italia, impegnato nel centro islamico di Suzzara e nel promuovere l’incontro tra religioni diverse. “L’Afghanistan vive la contraddizione dell’estremismo – ha detto – L’Islam è una religione di pace, come musulmano non posso accettare che la mia religione diventi strumento per governare e per mantenere il potere finalizzato ai propri interessi”.
Maryam Hijab 21 anni, è da 4 in Italia. “Lavoro come magazziniere e la sera studio per diventare ragioniera – ha spiegato – Sono molto preoccupata per tutte le donne e le bambine afghane. Penso che attraverso lo studio abbiamo la possibilità di crescere, comprendere e creare una coscienza critica rispetto alle vicende della vita. Questa è la via maestra che non può essere negata alle generazioni future”.
Giuseppina Nosè, da anni impegnata nel mondo del sociale e parrocchiana della comunità del Duomo.  “Mi sento di ringraziarvi per il tempo che si siamo dedicati, ho imparato oggi molto più di quanto ho letto e visto in questi giorni. Le opportunità di incontro sono il primo passo per conoscere direttamente la realtà” è stato il suo pensiero.
Matteo Amati infine, direttore della Caritas Diocesana, ha ricordato che “i progetti sostenuti da Caritas Italiana nel paese sono stati interrotti: dopo la presa del potere da parte dei talebani l’indicazione è stata quella di lasciare l’Afghanistan. La lontananza e l’impossibilità di poter intervenire direttamente rischia di lasciare spazio ad un sentimento di impotenza. Non possiamo però rimanere indifferenti. La sofferenza del popolo afghano, come quella dei molti popoli colpiti dalla guerra, ci deve interrogare e stimolare ad essere costruttori di fraternità nei solchi della nostra quotidianità. La nostra chiesa è impegnata da molti anni nell’accoglienza di persone che richiedono asilo politico e di famiglie arrivate in Italia grazie ai corridoi umanitari fuggendo dai loro paesi in guerra. Auspichiamo che venga aperto quanto prima un corridoio umanitario che possa coinvolgere anche famiglie afghane”

L’incontro di oggi, è stato spiegato, vuole essere un primo passo per costruire ponti di vicinanza, dialogo e speranza. Vogliamo che sia il punto di partenza per azioni concrete di fratellanza e accoglienza. Accogliamo inoltre l’invito di Papa Francesco di pregare il Dio della pace con la preghiera interreligiosa, con la quale ha concluso l’enciclica “Fratelli tutti”:

Signore e Padre dell’umanità, che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità, infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno.
Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace. Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno, senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre.
Il nostro cuore si apra
a tutti i popoli e le nazioni della terra, per riconoscere il bene e la bellezza che hai seminato in ciascuno di essi, per stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise. Amen.

 

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