Covid, Riitano: “in Lombardia una sanità troppo ospedalocentrica poco integrata con medici di base e Rsa”

MANTOVA – L’adeguatezza o meno della risposta del sistema sanitario lombardo all’emergenza Covid, il raffronto con quanto accaduto nelle altre regioni, anche confinanti, i possibili scenari futuri anche per quanto riguarda l’ospedale Carlo Poma da mesi alla ribalta delle cronache nazionali per la terapia del plasma iperimmune che qui ha visto la prima sperimentazione, condotta insieme al Policlinico di Pavia, poi strenuamente difesa dal primario di Pneumologia Giuseppe De Donno.
Di tutto questo abbiamo parlato insieme a Giuseppe Riitano, per ben 24 anni medico del Poma prima in chirurgia generale, dove è stato per cinque anni responsabile del Modulo funzionale di Chirurgia Arteriosa ed Endovascolare, e poi in chirurgia vascolare. Ma Riitano ha lavorato anche come chirurgo a Salerno, prima in ospedale e poi in una Casa di Cura, quindi di nuovo a Mantova all’ospedale San Pellegrino di Castiglione delle Stiviere e in San Clemente.
Ha anche preso parte come medico volontario a progetti umanitari ad Haiti e in India.
Tante esperienze diverse quindi che gli hanno permesso di avere un osservatorio importante della sanità a livello locale e non solo.

  1. L’emergenza covid ha fatto venire alla luce molte contraddizioni del modello di Servizio sanitario regionale misto pubblico-privato della Lombardia. Dai tempi di risposta delle strutture private che nella prima fase non c’è stata, alla debolezza emersa della medicina di territorio. Ma, secondo lei, cos’è che nel concreto non ha permesso al modello sanitario lombardo di rispondere in maniera efficiente, come ad esempio tutti riconoscono invece abbia fatto quello Veneto?
    Prima di tentare una generale quanto sintetica disamina sulle caratteristiche della Sanità Lombarda è doveroso, per l’ ennesima volta, ringraziare i colleghi medici e tutti gli operatori sanitari lombardi per l’ impegno, il coraggio e la professionalità dimostrata, troppo spesso pagata a carissimo prezzo. Aggiungo volentieri che l’ Italia tutta ha risposto con grande maturità e diffusa generosità ad un evento terribile quanto sostanzialmente inaspettato. La nazione è stata colpita dalla pandemia  per prima nel mondo occidentale; per tanti aspetti è stata di esempio al mondo intero, indicando strategie e percorsi che altre nazioni hanno seguito, purtroppo a volte con colpevole ritardo. Tutto ciò lascia ben sperare nella nostra capacità di affrontare e risolvere le terribili problematiche sociali ed economiche oltre che sanitarie, che ci attendono nel futuro prossimo.
    L’ attuale sistema sanitario lombardo origina dalla Legge Regionale 31 del 1997, uno dei pilastri della riforma era costituito dal nuovo sistema di accreditamento delle strutture private. Era esplicita la volontà di consentire una “virtuosa concorrenza” fra pubblico e privato, di lasciare  spazio alla efficienza che le strutture private sembrava potessero con maggiore “attitudine” inserire nel “quasi mercato” sanitario. Naturalmente allora il dibattito fu acceso,  molti sostenevano che l’investimento privato, in alcuni settori, sarebbe stato irrilevante per evidenti ragioni economiche, ad esempio si temeva che le attività di prevenzione e di emergenza/urgenza potessero non trovare vantaggio nel nuovo assetto determinato dalla legge.
    I meno giovani ricorderanno un cartellone pubblicitario, voluto dalla Regione Lombardia, in cui una persona non più giovane  dichiarava: “ora posso scegliere da quale operatore ed in quale struttura posso farmi curare”. Non sempre ciò è avvenuto, anzi spesso sono le strutture private “convenzionate” a poter scegliere le patologie più remunerative e spesso anche  i pazienti meno a rischio  (si potrebbe dire anche meno impegnativi economicamente).
    Sono passati  molti anni: alcune problematiche hanno trovato soluzione altre no: la formazione del personale  è sostanzialmente a carico degli ospedali pubblici, lo sviluppo previsto delle assicurazioni private nel settore in buona sostanza non si è realizzato e la spesa sanitaria di privati cittadini è la più elevata fra le regioni italiane. L’ analisi  del rapporto fra istituti clinici pubblici e privati potrebbe essere più approfondita, ma al di la di ogni altra considerazione, resta un elemento non discutibile: l’assistenza fornita dalle strutture cliniche lombarde e fra le migliori d’Italia e sicuramente dell’ intera Europa.
    La competizione fra Istituti di cura ha consentito in molti casi una eccellente qualità anche in strutture private, oltre che nelle sedi Ospedaliere ed Universitarie, ma ha deviato attenzione (e risorse) dalla medicina del territorio, determinando anche nella popolazione una cultura sanitaria fortemente “ospedalocentrica”
    Interessante il raffronto con la Germania: rispetto all’ Italia la nazione tedesca ha un numero di medici per 1000 abitanti di poco superiore, ma sempre per 1000 abitanti ha meno specialistici ed il doppio di medici di base . Sembra evidente che questa presenza sanitaria territoriale abbia contribuito a rendere efficace la risposta alla pandemia, forse più dell’ elevato numero di terapie intensive tedesche, peraltro in buona parte non utilizzate in tale circostanza.
  2. Veniamo al raffronto tra Lombardia e Veneto, la maggior integrazione dei servizi sanitari del territorio con gli ospedali e la presenza di una forte struttura pubblica della sanità sembrano aver favorito quell’approccio “di comunità” del Veneto che pare aver fatto la differenza in termini di contagi e di decessi (sia come tasso di mortalità che di letalità) tra le due regioni. Dal momento che il covid ha fatto capire che in futuro sarà necessario un ritorno alla sanità di territorio, ritiene sia possibile ciò con un sistema come quello attuale in Lombardia? Il privato può sposarsi con una sanità di territorio?
    Interessante è il confronto con la regione Veneto, sia per la contiguità geografica, sia per la stretta somiglianza di molti dati inerenti alla sanità. Lombardi e Veneti hanno la stessa aspettativa di vita ed una età media molto simile; anche il N° di posti letto per acuti , sempre per 1000 abitanti ed il N° di medici di medicina generale sono analoghi, infine, come tutti sappiamo, le due regioni sono governate dalla stessa forza politica.  Notevoli invece le differenze dei dati in altri ambiti: solo per fare un esempio i laboratori pubblici e i Dipartimenti di Prevenzione sono  in relazione al N° di abitanti molto più numerosi in Veneto.
    In questi giorni diverse analisi retrospettive di documenti clinici ed esami strumentali, confermano che il virus è “circolato” in Lombardia molto prima rispetto alla data del cosiddetto primo caso di Codogno ((20 febbraio).  La carica virale accumulata è probabilmente una delle cause principali del carattere esplosivo dell’ epidemia in molte aree della nostra regione, la risposta della rete ospedaliera è stata vigorosa spesso drammatica, ma poco integrata con le altre strutture. Poco integrata con le strutture private spesso incerte o quantomeno prudenti, poco integrata con la medicina di base e con le RSA (generalmente a conduzione privata).
    In altri termini l’ encomiabile impegno nella cura del malato covid-19 ha limitato l’attenzione verso altre problematiche , i medici di medicina generale, come gli stessi operatori ospedalieri, hanno contratto il virus in percentuale altissima, gli ospedali, gli ambulatori dei MMG le RSA sono diventate (anche) sede di diffusione della pandemia!
    La Regione Veneto ha seguito strade e strategie significativamente diverse. Potendo contare su una rete territoriale pubblica consolidata e più efficiente, ha guardato con attenzione alla comunità oltre che al paziente. La comunicazione, favorita da una efficace informatizzazione, ha ulteriormente aumentato l’ integrazione delle strutture, i MMG sono stati più efficacemente protetti da mezzi di protezione personale e da linee guida ideate anche per ridurre il contatto diretto con i pazienti, il tempestivo impegno del governo della Regione ha reso disponibili una discreta quantità di tamponi ed ha individuato strutture dedicate ai pazienti covid-19, anche trasferendo altrove i pazienti non covid-19.
    Tutto ciò ha significativamente ridotto la possibilità di contrarre l’infezione nelle strutture di cura!
    Alla domanda: il privato può sposarsi con una sanità di territorio? non ho risposta certa, perché il futuro spesso accelera improvvisamente sconvolgendo le nostre più radicate convinzioni. Molti anni fa l’Inghilterra, con il suo modello di sanità pubblica universalistica, ha ispirato altre nazioni fra cui la  nostra; in occasione della pandemia in molti siamo rimasti sorpresi da comportamenti incerti, spesso contraddittori degli Inglesi in risposta alla condizione di emergenza. Non ho quindi certezze ma mi sento di dare a tutti un consiglio: quando potremo tornare, per lavoro o  per turismo, negli USA controlliamo prima attentamente le nostre condizioni di salute, usiamo la massima prudenza nella guida per le strade americane,  ma soprattutto ricordiamoci di tenere sempre con noi, oltre al documento di identità, la nostra carta di credito….
    La legge Regionale 23 del 2015 che tra l’altro, indirizza i MMG verso strutture poliambulatoriali , affronta il problema del controllo del territorio, non conosco i livelli di attuazione, ma non mi sembra abbia determinato sostanziali  evoluzioni nei settori di cui si occupa.  In tanti anni di attività clinica ho vissuto rilevanti modifiche strutturali dell’ assetto organizzativo anche in regioni diverse e lontane, mi considero dunque un osservatore “privilegiato”  e questo mi consente di evidenziare problematiche che altri valuteranno ed eventualmente risolveranno.
    Il nostro lavoro clinico negli anni ha subito una evoluzione formidabile per il grande sviluppo tecnologico proprio della nostra epoca, tutto ciò non è avvenuto, se non in misura minima per esempio nella attività dei MMG. E’ sorprendente che il medico di famiglia  debba confidare di norma solo sulla propria capacità clinica (spesso peraltro rilevante). Da tempo esistono Ecografi delle dimensioni di un palmare, elettrocardiografi direttamente collegabili per ottenere un referto in remoto, macchine  semplici e di costo accessibile per l’esecuzione degli esami umorali di base e altro ancora, perché l’utilizzo è così limitato? Perché l’Ospedale è così poco aperto alle esigenze di  aggiornamento e confronto degli operatori del territorio?  Anche sull’ aggiornamento a mio avviso,  in tutta la nazione, troppo si è delegato ai privati per tutte le professioni sanitarie, mentre  gli Ordini Professionali  rinunciavano ad un importante ruolo di controllo se non di gestione diretta.
    Altro elemento scottante nella sanità italiana che indirettamente tende a frenare nella sostanza le attività territoriali ed a sovraccaricare gli ospedali è costituito dal rischio professionale; gli operatori delle strutture cliniche ricorrono sempre più alla “medicina difensiva”; è noto a tutti che una quota elevata di esami, accertamenti, persino atti terapeutici sono attuati non nell’ interesse del paziente, ma per difendere il medico e la struttura da contestazioni legali e quindi da aumenti della spesa per la protezione assicurativa. Può sembrare una affermazione sconcertante ma è difficilmente contestabile alla luce dei dati statistici ormai consolidati. Per i medici del territorio il problema è analogo ed ovviamente la stessa richiesta di ospedalizzazione dei loro pazienti costituisce strumento di “medicina difensiva”
    Ritornando alla Sanità della nostra Regione è evidente che l’obiettivo prossimo, prioritario è quello di coordinare ed integrare le varie strutture, ospedaliere e territoriali, pubbliche e private, per acuti, riabilitative e per  lungodegenza: confesso anche di  avere nostalgia per un adeguato collegamento socio/sanitario e per un riconosciuto ruolo dell’ Amministrazione Comunale nel settore.3 Cosa ne pensa dell’idea di una Fondazione a Mantova, presso l’ospedale Carlo Poma, che si occupi di ricerca? In questi giorni si parla di Fondazione Carlo Poma con finalità credo scientifiche. Non conosco la “mission” dell’ eventuale struttura, sarei favorevole se potesse potenziare  comunicazione e collegamento con strutture  scientifiche, ovviamente contrario se dovesse affiorare uno spirito in qualche modo “autarchico”.
    La storia della scienza è una storia di errori, dubbi, contraddizioni, oltre che di successi.  Galileo rinnegò le sue rivoluzionarie  scoperte in astrofisica per pressioni politiche (minacce di tortura da parte della Santa Inquisizione) ed Einstein non accettò mai il “principio di indeterminazione di Heisemberg” uno dei principi fondamentali della meccanica quantistica. Anche i migliori in assoluto hanno sbagliato. Dunque la scienza può sbagliare, può cadere in contraddizioni, può inoltrarsi in vicoli chiusi, ma da trecento anni segue un metodo che ha condotto a successi incredibili, il metodo scientifico è basato su dati non su opinioni, su dati verificabili e valutabili dalla comunità scientifica, su esperienze ripetibili non su congetture personali.

    3) L’ospedale Carlo Poma, forse per la prima volta da molti anni, è alla ribalta delle cronache di tutta Italia per via della terapia del plasma iperimmune nei pazienti covid, con molteplici interviste soprattutto del primario di pneumologia Giuseppe De Donno. C’è chi vede questo come un fattore positivo per lo stesso ospedale, e per il suo futuro, altri la pensano diversamente. Qual’è la sua opinione al riguardo?
    Conosco il dott. De Donno e sono convinto che abbia lavorato con competenza e passione, non apprezzo invece i mezzi ed il tono delle sue dichiarazioni.
    Il linguaggio scientifico propriamente detto è riservato ai competenti, è spesso complesso e spesso richiede il  contributo comune di ricercatori specializzati in branche diverse. Se parzialmente speso in ambito non scientifico crea confusione, critiche o apprezzamenti immotivati, produce convinzioni incrollabili in seguaci numerosi quanto incompetenti. Vi è poi un secondo tipo di linguaggio scientifico quello divulgativo, quello diretto a tutta la popolazione o almeno a chi è interessato. Anche in questo caso la comunicazione deve essere ampia, l’informazione puntuale,comprensibile ma rigorosa, deve percorrere canali solidi e possibilmente utilizzare uffici competenti (Uff. Comunicazione presente anche nel nostro presidio). Riguardo al “caso” De Donno, sorprende il mancato intervento della Direzione dell’ Ospedale e la mancata partecipazione dell’ Ordine dei medici, sono convinto che una comunicazione diversa, per modalità e canali di diffusione, avrebbe giovato innanzitutto al lavoro svolto dal collega, evitando strumentalizzazioni politiche e prese di posizione pseudo-ideologiche.