L’economia mantovana alla sfida delle tecnologie digitali del post-Covid

L'economia mantovana alla sfida delle tecnologie digitali del post-Covid
Alberto Grandi

MANTOVA – La crisi generata dal Covid, si inserisce in un processo evolutivo dell’economia italiana iniziato da tempo e ne accelera le tendenze con evidenti riflessi a livello locale. In effetti, le conseguenze economiche della crisi pandemica non si stanno distribuendo in maniera omogenea tra i vari territori italiani.
Infatti, se l’economia del nostro Paese è storicamente caratterizzata da forti squilibri regionali, l’ultimo anno ha ulteriormente ampliato tali squilibri. A subire gli effetti più pesanti sono state quelle aree che mostravano una struttura economica apparentemente più equilibrata, ma in realtà meno evoluta.
Ad esempio, il famoso tessuto di piccoli esercizi commerciali, che da molti viene visto come un fattore positivo in grado di rivitalizzare i centri storici, in realtà risulta essere più esteso proprio nelle aree più arretrate e che più hanno sofferto nell’ultimo anno. Paradossalmente questa rete ha dimostrato di essere una zavorra per le economie locali più che un fattore dinamico.  Il commercio al dettaglio è prevalente nel meridione, dove si concentra più del 40% delle imprese di questo tipo, mentre la grande distribuzione e le imprese dell’e-commerce sono sensibilmente più presenti al Nord, dove si sfiora il 50% del totale nazionale.
Situazione opposta rispetto al piccolo commercio, per quanto riguarda il manifatturiero: circa un’impresa su due si trova nel Nord Italia (per la precisione il 54%), il 25,4% nel meridione e il 20,8% al Centro. Discorso simile anche per il settore delle costruzioni, che rappresentano il 15% delle imprese totali. Le aziende di questo settore, infatti, si concentrano per il 52,5% nel Nord Italia, per il 26,2% nel Sud e nelle Isole e per il restante 21,3% nel Centro.
Questi dati non possono sorprendere, ma quello che è emerso in questo ultimo anno è che la capacità di reazione alla crisi o anche la famigerata resilienza seguono la medesima geografia; in altri termini, quelle aree che hanno perseguito un modello di sviluppo legato a settori tradizionali o al turismo oggi sono quelli che soffrono di più perché sono meno in grado di liberare le energie delle imprese già operanti, ma anche meno attrattive e capaci di creare le condizioni per lo sviluppo delle nuove realtà imprenditoriali. Non è un caso se le startup nate negli ultimi 12 mesi sono quasi tutte concentrate in tre regioni: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.
E così siamo arrivati a Mantova, perché c’è qualcosa di paradossale in una provincia che sta proprio in mezzo a queste tre regioni e sembra non esserne consapevole. Come purtroppo leggiamo ogni giorno, la situazione economica della nostra provincia è tutt’altro che confortante, ma a ben guardare, in questo trend la pandemia sembra influire poco; le principali crisi industriali erano iniziate ben prima della comparsa del Covid, così come la lunga agonia del commercio al dettaglio. Al massimo, il nuovo scenario nazionale e internazionale può aver accelerato tali processi, ma di certo non ne ha invertito la direzione. Diverso il discorso sul settore turistico, che un anno fa sembrava ancora avere buone prospettive di crescita, ma altri segnali, come l’evidente riluttanza a investire nel nostro territorio da parte dei principali players, mostravano anche qui una precoce saturazione dell’offerta.
E’ difficile dire cosa si dovrebbe fare oggi, per come la vedo io dobbiamo scegliere che ruolo vogliamo giocare nel futuro scenario, stando però sul piano della modernità e dell’innovazione. Il che non vuol dire abbandonare quei settori e quelle produzioni che hanno creato il nostro attuale benessere, ma vuol dire spingere sempre di più verso l’innovazione e l’integrazione tecnologica.
Ad esempio, l’agricoltura potrà continuare a giocare un ruolo importante nella nostra economia a condizione che sappia innovare e essere un grande laboratorio sperimentale per mantenere un primato che altrimenti non sarebbe difendibile. Lo stesso vale per tutta la filiera agroalimentare, la produzione di energia, la logistica, il tessile la chimica, perfino il turismo potrà sopravvivere solo se sarà in grado di utilizzare al massimo le nuove tecnologie digitali.
Questa crisi sta già segnando un cambiamento nel paradigma tecnologico, esattamente come la prima rivoluzione industriale di 250 anni fa. Gli artigiani tessili che allora andavano a sabotare i nuovi telai meccanici per difendere il proprio know-how furono i grandi sconfitti di quel periodo, grotteschi difensori di un mondo che non esisteva già più.
Camminare in avanti, guardandosi indietro è scomodo e anche dannatamente pericoloso.

 

Alberto Grandi é docente presso il Dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università di Parma