MANTOVA – Il 13 maggio 1981 Giovanni Telò era uno studente universitario alle prese con la preparazione della sua tesi in Scienze politiche. L’ordinazione a sacerdote era ancora lontana, sarebbe infatti arrivata nel 1992, mentre era già chiara la passione per il giornalismo che avrebbe accompagnato poi tutta la sua vita.
Era infatti un giovane corrispondente di Avvenire, allora diretto da Angelo Narducci, in un’epoca d’oro per il quotidiano cattolico quando ancora c’erano le pagine regionali.
Alle 17,17 in Vaticano l’attentato a Giovanni Paolo II, poi la corsa al Policlinico Gemelli, l’intervento chirurgico e mentre il mondo era col fiato sospeso per le sorti del Pontefice, dalla redazione centrale di Milano si decise di mettere all’opera i corrispondenti per raccogliere commenti e sensazioni a livello locale.
I telefoni cellulari erano di là da venire ma Telò aveva fatto sapere al suo caposervizio che in caso di necessità poteva trovarlo alla Teresiana dove infatti arrivò la telefonata.
“Quando mi hanno comunicato cosa era successo sono rimasto sgomento, era un qualcosa quasi difficile da credere e invece purtroppo era la realtà” racconta don Giovanni.
Ho lasciato quindi subito la biblioteca e mi sono diretto in Curia per parlare con l’allora vescovo monsignor Carlo Ferrari che trovai in uno stato di grande turbamento come accadde per il suo segretario don Benito Regis e per le altre persone che riuscii a sentire.
Ricordo che quella stessa sera praticamente in tutte le parrocchie ci si mise a pregare per il Papa e così accadde nei giorni successivi quando vennero organizzate anche delle veglie di preghiera per la guarigione di Wojtyła. Il pensiero di tutti è rimasto fisso sulle condizioni del Papa fino a quando non si è saputo che era fuori pericolo”.
E’ stato scritto proprio in questi giorni che il 13 maggio 1981, da potenziale sciagura che mai si sarebbe potuta immaginare divenne una pietra miliare di rinascita per il Pontefice ma anche per la stessa Chiesa. E’ d’accordo?
“Si, già Papa Giovanni Paolo II aveva rappresentato qualcosa di nuovo nei due anni e mezzo precedenti di pontificato, fin da quella prima omelia in cui disse: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo….” risponde don Telò
“Erano le prime parole di quella che di lì a poco sarebbe stata la sua azione che caratterizzò i suoi lunghi 27 anni di pontificato. Lui che è stata una delle figure che più contribuirono al crollo dei regimi dell’Est Europa. Lo stesso Gorbaciov ha dichiarato che tutto ciò che è successo nell’Europa orientale non sarebbe stato possibile senza Giovanni Paolo II”.
“Pensiamo a cosa rappresentò Wojtyła per la sua Polonia, la forza che Solidarnosc riuscì ad avere grazie anche al suo sostegno e poi a ruota quel che accadde negli altri Paese dell’Europa orientale” sottolinea don Giovanni.
E poi c’è l’aspetto mistico dell’attentato al Papa, con l’attentatore Ali Agca, cecchino infallibile, che più volte ripetè che aveva sparato da quattro metri e da quella distanza lui non poteva sbagliare: il Papa avrebbe dovuto morire. Poi il primario del Gemelli Francesco Crucitti, che operò Wojtyla d’urgenza nel disperato tentativo di salvargli la vita, e che non riuscì mai a spiegarsi la “strana traiettoria” del proiettile: un percorso a zig-zag, entrato dall’addome, uscito dal bacino, che evitò tutti gli organi vitali e l’arteria principale, di pochi millimetri.
“Si il Papa, che era devotissimo verso la Beata Vergine, era certo che a deviare la pallottola fosse stata la Madonna di Fatima (il 13 maggio 1917 avvenne la prima apparizione della Vergine ai tre pastorelli portoghesi ndr) per questo motivo volle che la pallottola venisse incastonata nella corona della statua della Vergine a Fatima” conclude Don Telò
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