MANTOVA – Una riflessione a tutto campo sul tema dei diritti è quella proposta del segretario provinciale del Psi Michele Chiodarelli che, per le sue considerazioni, parte da quanto accaduto di recente negli Usa per ampliare poi l’orizzonte su quel che già da tempo sta succedendo in Italia.
Ecco il testo della riflessione di Chiodarelli:
“In questi giorni è tornata al centro delle cronache giornalistiche e del dibattito politico la questione dell’aborto a seguito di una sentenza della Corte Suprema americana che smentendo quanto aveva essa stessa deliberato cinquant’anni fa ha «ridato il potere di regolare o proibire l’interruzione volontaria della gravidanza al popolo e ai suoi rappresentanti eletti».
A mio avviso la discussione nel merito non ha proprio ragione di esistere: ogni donna ha, sempre e comunque, il diritto inalienabile di decidere cosa fare del proprio corpo anche ovviamente quando si tratta di aborto; magari si comporterà sulla base del proprio credo etico, politico, religioso ma non può essere che siano altri (spesso uomini) che sulla base di convinzioni morali, politiche, religiose decidano cosa avviene nel corpo di una donna. L’interruzione di gravidanza è un diritto della donna: sic et simpliciter. Punto.
Tra l’altro oggi i fari dell’attenzione sono rivolti agli Stati Uniti ma in realtà anche in Italia, per la possibilità dei medici di rifiutarsi di interrompere una gravidanza per motivi di coscienza, non è così semplice esercitare questo diritto. Bene è ricordare che prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata reato dal codice penale italiano, che lo puniva con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto che alla donna stessa, determinando, così, un elevatissimo numero di aborti illegali, che causavano spesso complicazioni gravi ed un grande numero di morti.
Poi le lotte femministe, le coraggiose iniziative del Partito Radicale, l’attività parlamentare dei socialisti cambiò il sentiment dell’opinione pubblica al punto che, finalmente, nel 1978 venne approvata a larghissima maggioranza dalle Camere la legge 194, ovvero la legge sull’aborto, (primo firmatario l’onorevole del Psi Vincenzo Balzamo) che da allora consente alla donna, nei casi previsti, di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza).
Pertanto assodato che in uno stato laico e democratico le persone decidono autonomamente della propria esistenza, il vero tema di discussione penso sia che in Italia da almeno quarant’anni non vi è stato alcun progresso, anzi, per quanto riguarda i diritti civili; tanto che io sono convinto che oggi una legge come la 194 difficilmente verrebbe emanata. Nonostante la epocale situazione di crisi (sanitaria, economica, ora ambientale) che stiamo vivendo a cui si è aggiunta una guerra sul suolo europeo come non pensavamo più di vivere, determini altre necessità ho la ragionevole certezza che un Paese all’avanguardia per i diritti civili sia meglio strutturato per affrontare anche le drammatiche sfide attuali. Innanzitutto perché generalmente ad una evoluzione nel campo dei diritti civili si accompagna una analoga crescita anche per i diritti sociali come successe in quella formidabile stagione italiana di riforme in cui tra la fine degli anni sessanta e i settanta si approvò la riforma ospedaliera, lo statuto dei lavoratori, la scuole media unificata, i decreti delegati da un lato, il divorzio e, appunto, l’aborto dall’altro; e poi perché nel nostro Paese vi sono questioni aperte relativamente al fine vita, alla cittadinanza, alla famiglia, alla giustizia che regolate inciderebbero positivamente non solo sulla quotidianità della popolazione ma anche e soprattutto sul nostro tessuto socio-economico rendendolo più solido, europeo, moderno e competitivo.
Tanto basta per non abbassare la guardia sulle nostre libertà anche in giorni tanto complicati come gli attuali con la consapevolezza che uno stato di diritto debole favorisce l’affermazione di poteri, magari legittimi come la magistratura, la finanza, la burocrazia che comunque perseguono obbiettivi parziali e interessi di parte, sia talvolta opachi quando non criminali”.