Vaccino Covid, Galli: “Terza dose non mi convince”

“Il punto è valutare l’effettiva utilità di una terza dose di vaccino anti-Covid. Per il momento non ho ancora abbastanza elementi per poter prendere una posizione a favore. E mi sembra una fuga in avanti, un modo per giustificare anche quello che ancora non sappiamo sui tempi di copertura dopo la seconda dose”. Così all’Adnkronos Salute Massimo Galli, docente di Malattie infettive all’università Statale e primario al Sacco di Milano, commentando l’annuncio dei primi dati sulla terza dose di vaccino presentati da Pfizer all’Agenzia del farmaco Usa Fda.  

“Non ho ancora visto i dati e finché non li avrò visti – aggiunge Galli – posso dire con tutta franchezza che questa storia non mi convince. Ci vuole qualcosa di un po’ più robusto per dire che la terza dose serve davvero, in che misura, quando e per chi”, precisa l’infettivologo.  

“Correre in avanti, facendo un’altra dose, non so quanto vantaggio porti a chi risponde bene al vaccino. E, soprattutto, a quanto serva realmente a chi risponde male o affatto. Questi ultimi se non hanno avuto una buona risposta a due dosi – osserva – non è detto che possano rispondere bene a una terza”. 

Galli spiega poi che “i dati attuali sui contagi sono sottostimati perché riguardano chi fa il test, probabilmente una minoranza rispetto a quanti dovrebbero. Inoltre ci troviamo in un momento in cui molte persone più a rischio di infettarsi sono in ferie, fuori dalla loro sede abituale. E bisogna tener conto che l’infezione si diffonde in particolare tra i non vaccinati che sono giovani e giovanissimi. Questo vuol dire che abbiamo un quadro sottodimensionato. Non ho dubbi sulla sottostima del numero reale di infezioni da Delta che girano nel Paese”. 

“Tutto questo – prosegue Galli – sottolinea la presenza di un elemento di rischio che va accuratamente valutato, ma non sposta nulla rispetto al fatto che la grande massa delle persone vaccinate farà sì che non avremo in autunno un’ondata comparabile a quella dello scorso anno. Avremmo dei casi di infezione e lo scotto maggiore verrà pagato dalle aree del Paese dove ci sono ancora molte persone dai 50 anni in su non vaccinate. In quelle aree potremmo avere anche casi di una rilevante gravità e aumenterà la richiesta di ricoveri, ma comunque in una misura nemmeno vagamente comparabile a quanto abbiamo dovuto vivere in assenza di vaccino”, dice Galli.  

“A fare la differenza tra settembre 2020 e settembre 2021 c’è il 66% degli italiani vaccinati che hanno avuto una dose di vaccino. Si aggiunga anche un numero di guariti importante, che magari non si sono fatti vaccinare perché ancora protetti ed ecco che la percentuale di coloro che potranno essere soggetti all’infezione grave si riduce. Poi sarà fondamentale riuscire a vaccinare i giovani e i giovanissimi perché è l’unica arma che abbiamo per ridurre la circolazione di questo virus”, conclude. 

(Adnkronos)