Salita sul trono 70 anni fa, la 96enne Elisabetta II – morta oggi a 96 anni – ha fatto il suo dovere fino all’ultimo. Due giorni prima della sua morte, la sovrana ha nominato premier Liz Truss al castello di Balmoral, dove è deceduta oggi. Ed Elisabetta è stata fotografata in quest’occasione in piedi e sorridente, anche se fragile ed appoggiata ad un bastone, mentre stringeva la mano a Truss, 15esimo primo ministro della sua lunga carriera di sovrana.
Ai primi di giugno, Elisabetta II ha partecipato brevemente ad alcuni eventi del Giubileo di platino, senza farsi mancare il saluto dal balcone di Buckingham palace. Ma intanto i quattro giorni di festa popolare sono stati un’immensa manifestazione di affetto, verso una sovrana amatissima, che i sondaggi indicavano apprezzata da otto sudditi su dieci. Era da un anno che Elisabetta appariva più fragile, anche se a marzo era riuscita a superare il covid. Il 9 aprile 2021 aveva perso l’amato marito Filippo e tutto il paese si era commosso di fronte all’immagine della sovrana, seduta sola nel suo banco in chiesa, nel funerale ristretto imposto dalle regole della pandemia. Diventata vedova, Elisabetta ha cominciato a saltare alcuni eventi ufficiali per ragioni di salute. Lo scorso 10 maggio, è stato il figlio Carlo a pronunciare in parlamento il tradizionale discorso della Regina.
Primogenita del principe Albert, diventato Giorgio VI quando salì al trono l’11 dicembre 1936, dopo l’abdicazione del fratello Edoardo VIII, e di Elizabeth Bowes-Lyon, Elisabetta II nasceva il 21 aprile 1926. Ed allora nulla lasciava presagire che sarebbe diventata il sovrano più longevo della storia britannica.
Imperturbabile nei modi, sempre attenta a non lasciar trasparire emozioni che potevano essere interpretate come un endorsement politico, guardiana dell’ortodossia costituzionale, che vuole la Monarchia estranea al dibattito pubblico, la sovrana è riuscita ad attraversare, adattando se stessa e la Corona, ai tumultuosi cambiamenti della società britannica. Dall’austerità post bellica alla ‘Swingin’ London, dal declino economico degli anni ’70 al Thatcherismo, dalla rinascita laburista di Tony Blair alla Grande Crisi del 2008, alla Brexit.
E’ stata la regina dei record. Ha viaggiato in oltre 120 Paesi in occasione di oltre 270 visite ufficiali e ha partecipato a centinaia di migliaia di cerimonie. Il 21 aprile del 2016, allo scoccare dei 90 anni, vennero celebrati tutti i primati della sovrana che ha regnato più a lungo nella storia della monarchia britannica, avendo trascorso quasi due terzi della sua vita sul trono di San Giacomo. Il 9 settembre dell’anno precedente, Elisabetta aveva già superato il record di longevità di regno fino ad allora detenuto dalla sua trisavola, la regina Vittoria: 63 anni e sette mesi.
Sotto il regno di Elisabetta si sono susseguiti 15 primi ministri, sette arcivescovi di Canterbury e sette papi. Altro record, quello del matrimonio più longevo, 73 anni, più di ogni altro monarca, con il principe Filippo, sposato il 20 novembre 1947. Il matrimonio con il cugino di terzo grado – entrambi erano trisnipoti della regina Vittoria – ed erede al trono della Grecia, a cui Filippo al momento del matrimonio dovette rinunciare, non fu combinato, ma era perfettamente adeguato ad una donna erede al trono dal momento che Filippo era stato educato ai doveri di regnante.
Il 14 novembre 1948 vide la luce il loro primo figlio, Carlo, Principe del Galles ed erede al trono. La secondogenita, la principessa Anna, nacque il 15 agosto 1950, mentre gli ultimi due figli – il principe Andrea, Duca di York ed Edoardo, conte di Wessex, nacquero dopo l’ascesa al trono di Elisabetta.
Sesta donna a diventare sovrana del Regno Unito, Elisabetta II divenne Regina alla morte del padre, re Giorgio VI, il 6 febbraio 1952. Ma l’incoronazione a Westminster Abbey, di fronte a 8mila invitati, avvenne oltre un anno dopo, il 2 giugno 1953, una volta terminato il periodo di lutto per il sovrano scomparso.
Nel 2012, il Regno Unito, insieme ai Paesi del Commonwealth, festeggiò i 60 anni del regno di Elisabetta, il Diamond Jubilee, il Giubileo di Diamante, fino ad allora celebrato solo da un altro monarca britannico, la regina di Vittoria (1837- 1901) nel giugno 1897. L’entusiasmo fu interpretato come un riscatto di orgoglio, e di popolarità, da parte della famiglia reale e dell’istituzione monarchica, che usciva così definitivamente da una lunga crisi iniziata con un evento shock per la famiglia reale e per il Regno Unito intero: la tragica morte di Lady Diana, l’ex moglie del principe Carlo, amatissima ‘Lady D’, rimasta uccisa il 31 agosto 1997 in un incidente stradale sotto il ponte d’Alma, a Parigi, insieme al suo compagno, il miliardario Dodi Al-Fayed.
Ancora prima della lunghissimo strascico di misteri, inchieste ed accuse, la morte della sfortunata ed amatissima Diana provocò una vera isteria popolare che si trasformò un’ondata di rabbia senza precedenti contro la famiglia reale e la stessa Elisabetta. Un sondaggio condotto in quei giorni drammatici, rivelò che il 52% dei britannici pensava che il Paese sarebbe stato in condizioni migliori senza la monarchia.
E per oltre un decennio il sentimento popolare verso la famiglia reale non migliorò molto, se nel 2002 Elisabetta festeggiava il suo Golden Jubilee, i suoi 50 anni di regno, con una “popolarità della monarchia in netta caduta”, come registrava un sondaggio pubblicato allora dal Guardian. Per questo, di fronte alla grande festa popolare che invase le strade di Londra, e di tante altre città britanniche, nel giugno di dieci anni fa, c’era chi, come un editorialista del Telegraph, si domandava: “Chi avrebbe potuto immaginare questo nel 1997, l’anno in cui moriva la principessa del Galles? Chi avrebbe potuto immaginare che la monarchia potesse riprendersi dalla crisi e rinnovare se stessa?”.
Il punto di svolta, di inversione di tendenza nei dieci anni intercorsi tra i due giubilei, l’elemento che, per dirla ancora con il Guardian, “ha fatto di nuovo innamorare i britannici della monarchia” e quindi della regina, è stato un altro avvenimento fortemente mediatico, ma di segno opposto a quello luttuoso della morte di Lady D, il matrimonio del suo primogenito William con Kate Middleton, un vero capolavoro di strategia mediatica della “Firm”, la ditta come la famiglia reale britannica viene spesso definita.
Con il matrimonio, seguito in diretta mondiale da decine di milioni di persone in tutto il mondo il 29 aprile 2011, la “monarchia britannica si è dimostrata una delle più resistenti istituzioni del mondo, e la sua capacità di catturare l’immaginazione popolare non mostra segni di indebolimento. E se voi non sopportate il principe William e la sua sposa – scriveva in quell’occasione sul Guardian lo storico Dominic Sandbrook – ho brutte notizie per voi: rimarranno con noi per i prossimi 50 anni, farete bene ad abituarvi a loro”.
Il 6 febbraio 2017, un altro record. Elisabetta diventa il primo sovrano britannico a celebrare un Giubileo di Zaffiro, il sessantacinquesimo anniversario della sua ascesa al trono. Per l’occasione, la regina preferì festeggiare in tono minore, senza sfarzose cerimonie, così come fece il 20 novembre dello stesso anno, celebrando privatamente, assieme al marito, il settantesimo anniversario di matrimonio.
Nel frattempo, nel 2014, il regno di Elisabetta aveva superato il rischio di sfaldamento, con il referendum per l’indipendenza della Scozia. Con un 5% di margine, gli scozzesi scelsero di restare a far parte del Regno Unito. Fu quella una delle rarissime occasioni nelle quali Elisabetta, sebbene non in modo esplicito e attraverso gli atteggiamenti, più che con le parole, lasciò intendere qual era la sua preferenza politica: ovviamente, a favore del mantenimento dell’integrità del regno.
Due anni dopo, nel 2016, un’altra grave crisi politica, con il referendum per la Brexit e l’uscita dall’Unione europea. Stavolta, Elisabetta non si lasciò coinvolgere, mantenendo un imperscrutabile silenzio. La regina, però, anche se indirettamente, fece sentire chiaramente la sua voce nel gennaio 2020, quando il Principe Harry e la moglie Meghan Markle annunciarono la loro volontà di ritirarsi dagli incarichi pubblici della famiglia reale, rinunciando al ‘Sovereign Grant’, l’appannaggio reale, per diventare finanziariamente indipendenti.
Nell’occasione, fu Elisabetta a gestire l’uscita dalla Royal Family del nipote prediletto Harry, dettando lei tempi e modi di uno ‘strappo’ che a molti ricordò per certi versi quello consumato nel 1936 da Edoardo VIII. Altri grattacapi per l’immagine della Royal Family, sono venuti ad Elisabetta dal suo terzogenito, Andrea, Duca di York, costretto al patteggiamento per evitare un processo civile negli Stati Uniti con l’accusa di rapporti sessuali con una minorenne, nell’ambito dello scandalo Epstein. Una vicenda che è costata ad Andrea l’allontanamento dalla vita pubblica.
Ma nel suo lungo regno, Elisabetta non aveva mai dovuto assistere ad un dramma paragonabile a quello vissuto dall’intero Pianeta nel 2020 con la pandemia di coronavirus. Fu poco dopo il lockdown deciso dal premier Boris Johnson, il 5 aprile, che la sovrana parlò alla nazione attraverso un videomessaggio. Un evento rarissimo, che si era verificato solamente tre volte nel corso del suo regno, se si escludono i tradizionali messaggi natalizi.
E in quell’occasione, Elisabetta fece appello allo spirito britannico forgiatosi nella Seconda Guerra Mondiale. “We’ll meet again”, disse Elisabetta, ci incontreremo di nuovo, prendendo a prestito le parole di una celebre canzone dell’epoca, le cui note risuonavano nel 1945 quando, giovanissima, prestava servizio come autista e meccanico nel Servizio Ausiliare Territoriale, la milizia civile che sosteneva lo sforzo bellico. Elisabetta era conosciuta con l’identificativo n. 230873. Fu quello il primo servizio reso dalla futura regina alla nazione che ha guidato per 70 anni. Di tutti i sovrani, solo Re Sole ha regnato più di lei, 72 anni e 110 giorni.