Basta il passaggio di un tram, di un autobus, di un elicottero per far sobbalzare Olha Zhugan e sua figlia Vera. Da quando i russi hanno iniziato a bombardare Kharkiv, la loro città, vivono in uno stato di perenne allerta. Anche adesso che sono giunte a Cracovia dopo 21 ore di viaggio stipate in un treno, “se sentiamo elicotteri, o rumori forti noi abbiamo paura”. Olha, raggiunta telefonicamente dall’Adnkronos, racconta i giorni di terrore, ma anche solidarietà umana e straordinaria forza di adattamento vissuti durante l’occupazione di Kharkiv. Ed ora che è in salvo in Polonia, ospite da amici con la piccola Vera, 12 anni, descrive anche il loro disorientamento: “Siamo al sicuro adesso. Ma noi non capiamo cosa fare dopo…Solo c’è una speranza, tornare a casa il prima possibile”.
Olha ha lasciato in Ucraina occidentale due figli, di 20 e 22 anni, l’anziano padre in un villaggio occupato dai russi di cui non ha notizie da giorni ed a Kharkiv il marito con cui, insieme alla figlia, ha vissuto nascosta per nove giorni in un sotterraneo. Insieme a loro altre 100 persone. “Trascorrevamo le giornate seduti a terra, dormendo su materassi, vestiti perché faceva molto freddo. Fortunatamente avevamo un po’ di elettricità, momenti di condivisione come una zuppa calda e siamo anche riusciti a rendere confortevole il nostro rifugio – dice con orgoglio inviando delle fotografie – Era necessario farlo, dato che dalle 18 alle 6 del mattino non potevamo allontanarci”. Niente luce del sole per 9 giorni? “Quando salivo per telefonare. Perché giù non c’era campo. Così vedevo il sole, in piedi davanti al portone”. Unico altro diversivo era l’uscita del marito dal rifugio tra le 6 e le 8 del mattino per andare a comprare cibo nei pochi negozi rimasti aperti. “A quell’ora c’erano meno bombardamenti, i negozi aprivano alle 8 ma non erano riforniti e bisognava andar presto anche per mettersi in fila”, ricorda.
Giorni di terrore, “i bombardamenti aumentavano. Le sirene, le bombe, gli aerei….Mia figlia piangeva. Aveva paura… le mancava il suo gattino…Progressivamente le persone hanno iniziato ad andar via. E ci siamo ritrovati in una ventina. Allora è stato peggio. Ti senti sola in quell’incubo. Per questo – Olha fa una pausa – abbiamo deciso di partire”. “La distanza tra il rifugio e la stazione è di circa 12 km – racconta – Mentre andavamo, sapevamo che potevamo essere uccisi”. E Vera? “Agiva come un’adulta. Non piangeva, era concentrata. Perché noi avevamo un altro problema: salire sul treno, c’erano migliaia di persone che volevano partire e sapevamo di gente che aveva atteso anche 17 ore. Noi però siamo state fortunate. Siamo salite dopo un’ora circa, siamo riuscite a sederci, mentre alcuni hanno viaggiato in piedi per 21 ore…e siamo arrivati, senza nulla, a parte i documenti ed un po’ di denaro… senza avere tempo di pensare”.
(di Roberta Lanzara)