Confindustria Mantova dà il via alla stagione di Bianchi

Il presidente di Confindustria Mantova Edgardo Bianchi

MANTOVA I bisogni sono sempre gli stessi, ma la risposta da parte delle istituzioni parrebbe premiante in molti casi – specialmente se si parli di una voglia di “autonomia” necessaria a sviluppare impresa e competitività. L’importante è che questa non resti solo una parola, ma diventi elemento fondativo di un ripensamento della politica stessa. A formulare questi auspici sono gli imprenditori a raccolta ieri nel teatro Ariston dove è stata convocata la 74ª assemblea di Confindustria. Un’occasione peraltro per ufficializzare al pubblico dell’impresa il passaggio di testimone della sezione virgiliana, da  Alberto Marenghi a  Edgardo Bianchi. Il tutto sotto la sovrintendenza del presidente nazionale  Vincenzo Boccia, anche lui a fine del proprio mandato sindacale.
Un filmato realizzato dall’associazione e proiettato in apertura, ha resi manifesti i contenuti su cui si muove l’impresa a scavalco fra presente e futuro. Un futuro che, come sottolineato a più riprese dallo stesso Bianchi, raccoglie la sfida dei “colossi” americani, russi, cinesi e indiani, nel segno dell’europeismo. Condizione perché tanto avvenga, nondimeno, è che le istituzioni lavorino per creare le condizioni dello sviluppo.
Come? «Rompiamo l’isolamento», parla per Mantova in titolare di via Portazzolo, che come il suo predecessore Marenghi non può non lamentare carenze infrastrutturali – nonostante gli impegni di alcuni enti, e del sindaco del capoluogo  Mattia Palazzi ripetutamente lodato. Al riguardo è già in cantiere un progetto di Confindustria, d’intesa con le altre associazioni e rappresentanze di categorie produttive, per lo sviluppo del territorio nei prossimi vent’anni. E questo è il primo impegno del neo-presidente.
Ma per la prima volta forse l’attenzione degli imprenditori non si ferma alla lamentazione sulle carenze infrastrutturali, vecchia e abusata geremiade di un’impresa sempre pronta a chiedere, raramente a dare. La parola chiave che ripetutamente è risuonata ieri all’Ariston è stata “autonomia”. Bianchi, dal canto suo, intende questa svolta in discussione sul tavolo del governo come un passaggio necessario per efficientare il territorio e per creare le condizioni dello sviluppo; dunque, della competitività. «Autonomia sì – chiarisce –, ma non una secessione da ricchi», intendendo dire che ciò che la produzione pretende non è la proiezione di un egoismo politico o territoriale, ma una necessità per far sì che la ricchezza odierna del nord non diventi la nuova povertà di domani.
Non a caso la relazione del presidente ha preceduto un salotto moderato dal direttore del Sole 24 Ore  Fabio Tamburini cui hanno preso parte i presidenti confindustriali di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, oltre al governatore della regione Emilia  Stefano Bonaccini e, in rappresentanza del governatore lombardo  Fontana, l’assessore regionale alle attività produttive  Alessandro Mattinzoli.
Parlano la Lombardia, il Veneto e l’Emilia, rappresentata dai confindustriali  Marco Bonometti,  Matteo Zoppas e  Pietro Ferrari. Sono tutti consci del fatto che in queste sole tre regioni si matura il 44% del prodotto interno lordo nazionale. Inevitabile il raffronto con alcune regioni europee, come Baviera e Catalogna; ma mentre là i segnali di crescita del Pil viaggiano a due cifre, da noi l’economia stenta ad avanzare su una cifra e pochi decimali. Altro termine di paragone, introdotto dall’assessore regionale, già sindaco di Sirmione: il solo Garda richiama annualmente 25 milioni di turisti; la Sicilia intera solo 8. La disparità, e il bisogno di corrispondere a un disegno di competitività, non può risolversi se non in una parola: autonomia, ovvero ciò che, pur nel rispetto del dettato costituzionale, chiede a gran voce lo stesso governatore dell’Emilia Romagna.
I passaggi complementari del corollario confindustriale affrontano poi i noti temi della burocrazia e del sovraccarico di tassazione. Tutte cose, queste, che un programma di autonomia, in coordinate europeiste, verrebbero facilmente superate. E il tutto, come sottolineato da Boccia in chiusura di assemblea, senza secessioni: «Autonomia sì, ma con clausole di supremazia».