Coronavirus, palestre e centri sportivi in ginocchio: “Senza misure ad hoc, rischiamo di non riaprire più”

MANTOVA – Le misure sanitarie intraprese per arginare i contagi da Coronavirus in Lombardia stanno mettendo in ginocchio palestre e centri sportivi. Il decreto ministeriale, recepito poi dalla Regione Lombardia e dai vari Comuni, ha determinato una chiusura totale, senza possibilità di deroga nemmeno con misure di precauzione, a differenza di quanto sta avvenendo in provincia di Verona, dove tutto sta funzionando normalmente. La situazione inizia a farsi problematica, specialmente dal lato degli adempimenti economici: a fronte di costi fissi che rimangono invariati (affitti, adempimenti fiscali e previdenziali, utenze), ovviamente le entrate si sono azzerate.

MONETA (10-22): SE VA AVANTI COSÌ, SI RISCHIA LA CHIUSURA

Se va avanti così, molti rischiano di non riaprire più – dice Roberto Moneta, leggenda del body building mantovano e gestore da tantissimi anni della palestra “10-22” di Piazza Anconetta -, ma non per il Coronavirus. Bensì per le ricadute economiche. Tanti clienti mi scrivono tutti i giorni, chiedendo se ci sono novità: purtroppo posso solo dire loro che c’è da portare pazienza. Ma questa chiusura forzata rischia di prolungarsi per tutto il mese di marzo, con i risvolti economici che potrete ben immaginare. Senza un piano emergenziale, almeno a livello fiscale, da parte delle istituzioni, andremo in grossissima difficoltà: mi auguro che il Governo e la Regione facciano qualcosa per garantire una riapertura, anche contingentata, visto che l’ultima misura parla di distanze minime obbligatorie tra le persone, per fare continuare l’attività. E anche un rinvio dei saldi IVA credo che sia auspicabile: ma bisogna fare presto, perchè i costi rimangono invariati, mentre le fatture sono a zero“. “La beffa – conclude Moneta – è che nella vicinissima provincia di Verona tutto procede più o meno normalmente, i gestori hanno facoltà di aprire le palestre. La normativa è stata recepita in maniera meno restrittiva, per loro le perdite saranno limitate. Noi, invece, se resteremo veramente chiusi fino al 31 marzo come sembra dalle disposizioni, saremo nei guai. Specialmente una società come la mia, che non si appoggia ad un circolo sportivo, e dunque è soggetta ad una tassazione regolare“.

ROSA (MANTOVA SPORT CITY): CHIEDIAMO UN SEGNALE DALLE ISTITUZIONI

“La situazione è di totale incertezza – spiega Federico Rosa, che segue la parte amministrativa del Mantova Sport City, centro sportivo multidisciplinare situato poco fuori città -. Abbiamo le richieste di molti tesserati che non possono usufruire degli impianti, ma l’interpretazione della Lombardia e del Comune di Mantova del decreto del 2 marzo è chiara: per ora l’attività è da intendersi sospesa, in quanto siamo associazioni dilettantistiche e amatoriali. Dunque non c’è la possibilità di riprendere quanto prima, perchè non si tratta di manifestazioni di carattere regionale o nazionale. Anche noi abbiamo fatto notare che nei centri sportivi a Verona tutto sta procedendo come prima: un fatto che crea disparità“. Dunque tutti fermi: dal padel, al beach volley, al beach tennis fino alle partite di calcetto tra amici. “L’ordinanza parla di distanze minime di un paio di metri tra le persone – prosegue Rosa -, e sono anche d’accordo sul fatto di non utilizzare gli spogliatoi. Tuttavia mi dovrebbero spiegare perchè i centri sportivi vadano chiusi, quando in coda al supermercato la gente sta sicuramente più vicina, con una possibilità maggiore di contagiarsi. E’ meno pericoloso giocare una partita di beach volley 2 contro 2. Sul lato economico, siamo stati costretti a sospendere o riconsiderare alcune iniziative che avevamo già in cantiere, nel frattempo abbiamo iniziato dei lavori di manutenzione che avremmo dovuto fare in estate. Sperando che la situazione si risolva quanto prima. Siamo disposti ad osservare delle regole anticontagio anche stringenti, purchè ci venga data la possibilità di riprendere l’attività: di questo passo, altrimenti, serviranno misure straordinarie per quanto riguarda utenze e adempimenti fiscali. Abbiamo già staccato la caldaia e gli impianti che teniamo solitamente in funzione, per esempio, per mitigare il costo delle bollette in questo momento in cui le entrate si sono azzerate“. “Aspettiamo qualche segnale dalle istituzioni, dal Comune – conclude Rosa – non si può non tenere conto del nostro settore che sta soffrendo come pochi altri in questa fase dell’emergenza”.