Covid, Pregliasco: “Prepararsi a nuova onda, preoccupa attuale gestione”

Il Covid non è un capitolo chiuso. “Le risalite ci sono, le curve ci mostrano che ci sarà un’onda, non un’ondata, e che non sarà pesante. Ma bisogna essere preparati. E con l’influenza stagionale non sarà facile distinguere tra le due patologie”. Torna a mettere in guardia sulla doppia insidia dell’inverno alle porte il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all’Università Statale di Milano e direttore sanitario dell’Irccs Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio del capoluogo lombardo, che in un’intervista a ‘La Stampa’ esprime preoccupazione per l’attuale gestione di Sars-CoV-2 e i suoi possibili effetti sul successo della campagna di ri-vaccinazione.

“Il desiderio di tornare alla vita normale e una certa rilassatezza nella percezione del pericolo epidemico – spiega – sono senz’altro due dei fattori che hanno inciso”, rallentando la somministrazione della quarta dose. Oltre alla cosiddetta stanchezza vaccinale, per l’esperto “la narrazione dell’epidemia e della sua gestione attuale influisce in maniera significativa sulla percezione del rischio pandemico. Per esempio – sottolinea – il recupero del personale medico-sanitario non vaccinato” contro Covid-19 “veicola un messaggio di noncuranza. Oltre ad alimentare la facile propaganda no vax, costruita sapientemente anche a livello internazionale per minare la credibilità dei vaccini, e sulla quale sarebbe utile istituire una commissione d’inchiesta”.

Ma il Governo sta sbagliando? “Sicuramente – osserva Pregliasco – i messaggi politici relativi alle misure anti-Covid erano attesi da molte persone perché sono stati oggetto di campagna elettorale da parte di almeno due dei partiti che oggi sono al governo. Certo, l’obbligatorietà del vaccino è una scelta politica e ciascun Governo stabilisce la propria linea, ma nella fase acuta dell’epidemia era indispensabile come strumento contenitivo dall’efficacia oggettiva, per una più rapida ripresa. Oggi viviamo una situazione relativamente positiva, di stabilità, con qualche lieve oscillazione: l’Rt è inferiore a 1 e l’ospedalizzazione è sotto controllo. In ogni caso, il ministro” della Salute, Orazio Schillaci, “l’ha già detto: occorre una comunicazione istituzionale importante e persuasiva sulla campagna vaccinale. La normalità che rincorriamo dipenderà soprattutto da quanto i fragili e i soggetti a rischio saranno protetti con il vaccino”.

Il cambio di periodicità del bollettino Covid, passato da quotidiano a settimanale, influisce sulla rilassatezza delle persone di fronte alla rischio coronavirus? “A dire la verità – ribadisce il virologo – non è la frequenza” della diffusione “a incidere, quanto l’enfasi che si utilizza nel comunicare quei dati. Sono numeri e restano disponibili su Internet, per chi li cerca. Non credo che quello faccia la differenza”.

Tornando al vaccino, “al pari del farmaco antinfluenzale, credo sia importante che il vaccino contro il Covid, per le categorie a rischio per patologia e per età, entri a far parte del calendario vaccinale annuale – ribadisce Pregliasco – Non possiamo andare avanti con una campagna emergenziale periodica e disomogenea, sia a livello di costi che di gestione. Quanto alle categorie non a rischio, sulla base dei dati il vaccino è risultato utile anche per far durare meno la malattia in caso di contagio, oltre che per ridurre il rischio di trasmissione della malattia ai familiari fragili. Quindi è uno strumento di protezione sia sociale sia personale”.

Alla domanda se all’estero sono stati più bravi di noi nella nuova fase della campagna vaccinale anti Covid-19, considerato che l’Italia è passata dai primi agli ultimi posti nella classifica europea per percentuale di vaccinazioni effettuate, l’esperto risponde che è “difficile fare classificazioni di risultato. A livello mondiale non c’è stata la dovuta copertura vaccinale, quindi il virus ha circolato e circola ancora. Il punto è che c’è stata una diseguaglianza a livello internazionale. Alcune iniziative hanno funzionato, altre meno. Quanto all’andamento dell’epidemia, ciascun Paese ha adottato una propria metodologia: Cina e Corea del Nord puntano al contagio zero, ma al momento risulta impossibile per via della contagiosità del virus. India, Brasile e altri, vuoi per ragioni organizzative, vuoi per motivazioni ideologiche, hanno lasciato che la malattia si diffondesse immediatamente. Altri, invece, hanno cercato di spalmare l’incidenza della malattia nel tempo. Ed è quello che abbiamo cercato di fare in Europa”.

(adnkronos.it)