Mons. Busca:”Il vescovo Egidio è stato un terreno accogliente per la pioggia della Parola”

CURTATONE – “Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua gloria è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce quando il soffio del Signore spira su di essi” (Is 40,6-7) è il brano scelto da Mons Busca, questa sera, durante la messa in suffragio del Vescovo Emerito Caporello. “Ogni uomo è come l’erba – spiega Busca nell’omelia – viene al mondo per esprimersi, far progetti, tradurli in azione, eppure questa esplosione di energia si può paragonare all’erba che secca e al fiore che appassisce. Una sentenza dura e allo stesso tempo tanto vera agli occhi di tutti”

La Bibbia, però, ci porta a livelli di lettura delle cose sempre più profonde. Il profeta, infatti, sta parlando al popolo in esilio, soggetto all’impero solido e invincibile di Babilonia. Anche questo “gigante” è in fine dei conti come “erba” e il suo lusso è come “fiore che appassisce”, tant’è vero che si afferma: “Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Is 40,8). È certo che l’impero di Babilonia appassirà e si seccherà, ma se Israele ascolterà la Parola e si fiderà del suo Dio, se spererà e farà progetti fondati sull’alleanza, è altrettanto certo che le sue imprese riusciranno e saranno durevoli. Infatti, quanto annunciato dal profeta accade: Israele ritorna dall’esilio. Israele vince e Babilonia viene distrutta come il fiore su cui soffia il vento del Signore. I babilonesi oppongono resistenza al soffio del Signore perché lo percepiscono come il vento caldo per l’erba: una forza avversa, portatrice di morte e distruzione. Per gli israeliti, invece, il soffio di Dio è portatore di una brezza di vita, di liberazione, alla cui frescura si riplasma l’amicizia con Dio. La differenza sostanziale consiste nell’obbedienza o meno alla Parola del Signore. Chi è obbediente alla Parola porta il frutto, chi no, appassisce nella sterilità di una vita effimera e vuota.

Il profeta Isaia ricorre, poi, all’immagine della pioggia per far capire il potere che possiede la Parola di Dio nel fecondare la vita e la storia. La pioggia benefica viene dall’alto, da Dio. Dio ha pensieri diversi dai pensieri umani: “quanto il cielo sovrasta la terra tanto i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”(Is 40,10). Ma quando Dio manda la pioggia dei suoi pensieri e trova un cuore che lo ascolta – come il buon terreno riceve l’acqua del cielo che lo rende fertile – allora accade che i pensieri divini non sono più distanti, sovrastanti, ma si mescolano con i pensieri umani. È un’immagine efficace dell’azione della Parola che scende come la pioggia nel terreno e incrocia le nostre vie e i nostri pensieri. Israele nutriva il pensiero della liberazione, ma era impossibile trovare la via per realizzarlo, era un sogno idealista; eppure proprio questo sogno così impossibile era lo stesso che Dio nutriva per il popolo che ama e si è scelto. E il sogno allora si avvera perché i pensieri umani e quelli di Dio s’incontrano. La pioggia è scesa su Israele che era come terra arida, terra di schiavitù senza speranza, e il disegno di Dio ha permesso che il sogno umano della liberazione diventasse concreto.

Un messaggio che possiamo cogliere è, dunque, questo: quando l’uomo coltiva pensieri giusti e aspirazioni secondo Dio e se cerca in Lui le soluzioni, permette alla Parola di agire nelle profondità del suo cuore ed è poi la Parola stessa a tirar fuori dal suo terreno interiore pensieri e progetti buoni e renderli fecondi. Se uno si considera autosufficiente e pensa che gli basta ciò che ha dentro di sé, il suo terreno, i suoi pensieri e progetti, e non attende i pensieri dall’alto, percepisce il soffio di Dio come un vento nemico. L’alternativa è semplice: c’è chi attende tutto dal terreno e si affatica per lavorarlo, c’è chi sa e accetta che nella terra qualcosa fruttifica solo grazie alla pioggia. È la Parola di Dio che irriga e feconda i nostri pensieri e progetti, senza di essa qualcosa della nostra umanità resta incompiuto.

Il vescovo Egidio è stato un terreno accogliente per la pioggia della Parola. La sua lunga vita terrena è stata la via di un credente. Cercava di armonizzare i suoi pensieri con quelli del Vangelo. Ha scelto come motto episcopale una frase di san Paolo nella lettera agli Efesini: “Veritatem facientes in caritate”(“agite facendo la verità nella carità”: Ef 4,15). Nel vescovo Egidio il seme della verità del Vangelo ha potuto fruttificare in carità grazie al terreno buono della sua umanità sensibile e ricca, coltivata lungo gli anni. La verità cristiana non è un sistema di concetti astratti, è la persona stessa di Gesù, figlio di Dio e figlio dell’uomo, che ha detto di sé stesso: “Io sono la verità” (Gv 14,6). La verità del Vangelo prende forma nel terreno di una buona umanità che l’accoglie e viene da essa irrigata e fertilizzata. Nel vescovo Egidio il comandamento dell’amore, che è il seme più fecondo del Vangelo, fruttificava in uno stile pastorale di grande attenzione alle persone, di affabilità verso tutti, specie gli umili e gli ultimi, per i quali offriva tempo, amicizia e aiuti concreti. Nel suo terreno preferiva coltivare ciò che unisce piuttosto ciò che divide, in un tratto conciliante che lo portava a recuperare i rapporti e usare pazienza nel rispetto dei differenti ritmi di crescita delle persone.

Il vangelo odierno ci ha fatto riascoltare la parabola del seminatore. Rispetto al brano di Isaia si precisa il nome di questa Parola inviata come pioggia dall’alto. È Gesù stesso, Verbo del Padre, che esce di casa e racconta la parabola del seminatore uscito a seminare la Parola del Regno. È suggestiva l’immagine di Dio che “esce” da sé stesso e per mezzo della Parola uscita dalla sua bocca, cioè il suo Figlio, scende verso la terra perché essa dia il seme al seminatore, ovvero porti vita e fecondità nel mondo. Se la Parola è questo seme, Cristo è anche il Seminatore che sparge la Parola nei cuori degli uomini che sono paragonati ai diversi terreni che significano senz’altro la diversa predisposizione degli ascoltatori. Ma si vuole anche dire che ogni ascoltatore può avere dentro di sé sia la strada battuta, sia il terreno sassoso, sia il terreno buono/bello. Se le cose stanno così l’accento non cade tanto sulla qualità del terreno, pure importante, ma sull’immagine del Seminatore per esaltare la sua generosità nello spargere seme in abbondanza senza curarsi dei diversi terreni, anzi nella fiducia che qualche seme attecchirà un po’ ovunque.

Mentre Gesù racconta la parabola del seminatore ha ben presente la sua esperienza di predicazione. Ha offerto un’abbondanza di parola tale per cui si potrebbe dire che il suo seminare parola nei cuori fatti di terreni così compromessi e sterili era letteralmente uno sprecopiù che una semina. Diversi capitoli del vangelo di Matteo vorrebbero dimostrare che la predicazione di Gesù si sta rivelando un vero e proprio fallimento; gli ascoltatori che intercetta sono come rovi e sassi e terra battuta. Eppure Gesù, raccontando questa parabola, è come se volesse contraddire le obiezioni. Non c’è alcun fallimento anche se a prima vista la sua logica appare perdente, uno spreco di parole che lo porterà al sacrificio della croce. Eppure attraverso la parabola Gesù vorrebbe portare i suoi ascoltatoti fuori da ciò che sono portati a pensare: lo spreco della sua vita produrrà tanto frutto. A tal punto che Cristo ricorre nuovamente a una frase esagerata, assolutamente assurda: ogni sacco di sementi produrrà una raccolta di cento sacchi o sessanta o almeno trenta. Nessuna di queste cifre corrisponde a ciò che avviene normalmente in agricoltura. Ogni contadino sa bene che nelle annate buone il raccolto è di 12 sacchi per uno di sementi. Il 30 per 1 era ritenuto il vero miracolo di un’annata eccezionale che accadeva circa ogni trecento anni. Figuriamoci il 60 o il 100 per 1! La logica a cui la parabola ci sfida è un’altra. Un terreno bello supplirà a tutti i terreni improduttivi. Un solo cuore che ascolta e accoglie un seme della Parola fruttificherà qualche cristiano, qualcuno di buona volontà, forse anche qualche santo, uomini e donne che renderanno meno arida e più accettabile la terra.

Il vescovo Egidio è stato un seminatore generoso, di parole, di gesti, di messaggi, di convinzioni, di progetti evangelici che offriva in ambienti assai diversi, di chiesa e non, e in contesti non solo ufficiali ma anche informali, come la tavola che si animava di discorsi e di amicizia. Desideroso che attecchisse la buona semente del Concilio Vaticano II, lo ha tenuto come costante riferimento nella sua guida pastorale della nostra Chiesa mantovana, in quello stile di dialogo e di collaborazione con le istituzioni e le varie componenti della società di cui la magna chartaè la costituzione Gaudium et Spes.

La seminagione del Vangelo comporta anche la sofferenza del terreno ostile e delle contrarietà. Il vescovo Egidio ha vissuto con grande sofferenza l’uccisione di due sacerdoti mantovani in missione, avvenuta dopo un solo anno dal suo ingresso in diocesi a Mantova: don Maurizio Maraglio in Brasile e padre Tullio Favali del PIME (originario di Sacchetta) nelle Filippine. Il Vescovo si è speso ed ha ottenuto dalla Santa Sede che i nomi dei due missionari uccisi fossero inseriti nell’elenco dei martiri cristiani del secolo XX compilato dal Vaticano in occasione del giubileo del 2000. Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani e di nuovi sacerdoti che chiediamo in dono al Signore per la nostra Chiesa, grazie anche all’intercessione del vescovo Egidio.

A noi oggi è rivolta l’esortazione ad essere terreno bello che accoglie la Parola uscita dalla bocca di Dio e mescola pensieri divini e pensieri umani. Allora la Parola fruttifica nel cuore che si trasforma a somiglianza dell’umanità di Gesù. Chi si accontenta di vivere solo per il suo terreno (la sua natura che resta senza la grazia) rischia di restare sterile perché non cresce in lui la somiglianza a Dio. Ma è proprio questo ciò per cui il terreno del nostro cuore è fatto.

La testimonianza del vescovo Egidio ci ricorda che, per i discepoli del Vangelo, la fede in Cristo e una buona umanità non possono che crescere di pari passo.