CASALOLDO – C’è un’aria di festa, ma anche di commozione, attorno alla riapertura del Teatro Soms di Casaloldo. Dopo due anni di lavori di restauro, lo storico edificio venerdì prossimo alle 20,45 torna a illuminarsi con una scelta che sa di poesia: proiettare i primi due film della saga di Don Camillo e Peppone, icone di un’Italia che imparava di nuovo a sorridere dopo la guerra, in una serata dal titolo: “Don Camillo, Peppone …e il Cristo parlante”
«C’è qualcosa di tremendamente poetico nel riaprire un teatro dopo due anni di restauro proprio con i film che, settant’anni fa, facevano ridere e commuovere l’Italia che usciva dalla guerra», scrive lo storico casaloldese Gian Agazzi, che ha voluto raccontare in parole cariche di memoria il significato profondo di questa serata.
Dal “Cinema Mignon” al teatro ritrovato
C’erano una volta le sedie in legno, le luci soffuse e le domeniche passate al Cinema Mignon, com’era chiamato il Teatro Soms negli anni Cinquanta.
Oggi, dopo due anni di lavori, quello spazio torna a vivere e a raccontare storie: e lo fa scegliendo alcuni spezzoni dei due film che più di ogni altro sanno unire memoria e sorriso, “Don Camillo” e “Don Camillo e l’onorevole Peppone”, non solo due pellicole di culto ma specchi di un’Italia in bianco e nero, piena di contrasti ma anche di umanità.
«Quando “Don Camillo” uscì nelle sale, nel 1952, seguito tre anni dopo da “Don Camillo e l’onorevole Peppone”, l’Italia era ancora un Paese che si rimboccava le maniche, che discuteva di tutto in piazza, che litigava furiosamente per poi ritrovarsi tutti insieme alla festa del patrono», scrive lo storico. A raccontare e commentare quella stagione cinematografica sarà Luca Ghizzi, studioso di cinematografia, che guiderà il pubblico tra aneddoti e curiosità sul “piccolo mondo” di Brescello e del Po: il teatro naturale dove Guareschi fece incontrare (e scontrare) un prete e un sindaco comunista, in un eterno gioco di ironia, fede e umanità.
Un legame profondo con la memoria del territorio
Non è solo cinema, ma memoria viva. Gian Agazzi ricorda che Giovannino Guareschi, autore di Don Camillo, fu uno degli Internati Militari Italiani deportato in Germania dopo l’8 settembre 1943, e che nei lager – proprio come alcuni uomini di Casaloldo – imparò a trasformare la sofferenza in racconto, l’amarezza in sorriso.
«Lì, in quella terra gelida e ostile, erano internati anche i nostri Ceretti e Bastoni, uomini di qui, della nostra terra», sottolinea Agazzi.

«Guareschi nei lager disegnava vignette satiriche sui muri delle baracche, raccontava storie ai compagni di prigionia per non perdere la speranza. E forse è proprio lì, in quell’inferno, che ha imparato che l’umanità si salva con l’ironia». Una frase, la sua, che è già manifesto: “Non muoio neanche se mi ammazzano”, ripeteva sorridendo ai suoi compagni di sventura, per tirarli su di morale. Da quell’esperienza nacquero due personaggi opposti e inseparabili – Don Camillo e Peppone – simboli di una comunità capace di ridere delle proprie differenze e di restare unita nonostante tutto. Fernandel e Gino Cervi hanno dato voce a un’«Italia più lenta, più solidale, dove ci si conosceva tutti e dove le differenze erano motivo di scontro ma anche, alla fine, di incontro», aggiunge Agazzi.
Una serata per chiudere un cerchio
La riapertura del Teatro Soms non è solo un evento culturale, ma un gesto collettivo di rinascita. È il ritorno della comunità nel luogo che per decenni ha custodito storie, emozioni, risate. «Tornare a vedere alcuni spezzoni di questi film nel teatro che, settant’anni fa, li proiettava per la prima volta è un po’ come chiudere un cerchio», scrive ancora Agazzi. E conclude con la tenerezza di chi sa che la memoria non è mai solo passato: «Ci vediamo al Teatro Soms venerdì sera. Portatevi un fazzoletto: servirà per asciugare le lacrime. Quelle di gioia, si intende. O forse no».














