Cosa resterà degli anni 80? Anzitutto il trionfo ai Mondiali ’82 che cambiò l’Italia e trasformò i ricordi da bianco e nero a colori

Nel 1989, alla fine di un decennio particolarmente intenso e da molti ancora oggi rimpianto, Raf portava al successo “Cosa resterà degli anni 80”, regalando un manifesto generazionale di quegli anni molto realistico spaziando tra stili di vita, cronaca, politica ed andazzo sociale. Un brano che fa riferimento alle manie e agli usi in voga in quel periodo, ma anche agli avvenimenti che stavano cambiando il mondo come gli exploit in politica.
Il cantante si chiede, quindi, tra tangibile nostalgia, sospetti e timori cosa resterà, cosa davvero sopravviverà di quegli anni così densi e briosi, interrogandosi, dopo i brevi fotogrammi, su chi la scatterà la fotografia? Il dubbio, se mai l’avesse avuto, glielo togliamo subito, perché non c’è evento più scolpito nell’immaginario collettivo degli italiani del Mondiale 1982, di cui questa sera ricorre il quarantesimo anniversario dalla vittoria (3-1) della Nazionale di Bearzot nella finale di Madrid contro la Germania Ovest.
In realtà quel Mundial è un album pieno di istantanee. E solo a pensare che sono passati così tanti anni ci sale – come allora – la commozione in automatico.
Da qualche settimana al cinema e in tv fioccano rievocazioni e celebrazioni di quel successo che, come unanimemente sottolineato, andò oltre l’impresa sportiva. Questo ci ha fatto capire che gli italiani si dividono inconfutabilmente in due categorie: quelli che hanno visto i Mondiali dell’82 e quelli che se lo sono perso. Noi che abbiamo avuto il privilegio di assaporarli, non nascondiamo la lacrima facile ogniqualvolta che sentiamo scandire la formazione della leggenda “Zoff-Gentile-Cabrini…”, oppure Nando Martellini ripetere “Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del Mondo”. Già, campioni di un mondo che non c’è più. Che purtroppo oggi vive solo nei nostri ricordi. Riguardando le partite del Mundial ’82 o semplicemente rivedendo la mascotte Naranjito e il pallone Tango in questa sorta di commemorazione nazionale, comprendo perché mi appassionai al calcio. L’occhio che volge al passato è volutamente nostalgico e malinconico, perché quel pallone lì non c’è più da un pezzo, ma è innegabile che un tempo i giocatori (né giganti né robusti, ma “ragazzi come noi”, per dirla con Antonello Venditti, che nella notte della festa si ritrovò a giocare per strada con i passanti) rappresentavano modelli da seguire per bambini che non desideravano che tirare un calcio al pallone, non – passateci il termini – polli d’allevamento gonfiati per mostrare muscoli e tatuaggi come si vede oggi.
Ma evito di addentrarmi in un discorso che sarebbe particolarmente lungo e nemmeno troppo interessante. Oggi come quarant’anni fa deve essere il giorno dell’omaggio a quella Nazionale che diventando campione del mondo mise fine agli “anni di piombo” e alle bombe sui treni. E come ebbi modo di scrivere nel 2012, quando ricorreva il trentesimo anniversario da quella storica vittoria, resto più che mai convinto che nella vita i giorni veramente indimenticabili si possono contare sulle dita delle mani e che gli altri probabilmente facciano solo volume. Se la sera dell’11 luglio 1982 tutti ricordiamo con precisione dove eravamo e con chi avevamo visto quella partita, qualcosa vorrà pur significare. Pensare a quel giorno apre un’inevitabile autostrada di ricordi personali. C’era un bambino di 8 anni che già prima delle 20, orario del calcio d’inizio, aveva cominciato a rosicchiarsi le unghie dalla tensione. Con lui c’erano papà, nonno e nonna disposti a ferro di cavallo in salotto davanti alla tv, mentre mamma, forse per ingannare l’ansia, entrava e usciva da casa con la scusa di innaffiare i fiori. In paese c’era la fiera, ma regnava un silenzio surreale, rotto solo dal terzo gol degli azzurri che fece esclamare al presidente Pertini «non ci prendono più». Tutto è ancora davanti agli occhi: la festa, con la gente che faceva il bagno nella vecchia fontana della piazza, il giro per la fiera con la bandiera tricolore che la compianta signora Anna, sarta paladina delle cuciture last minute, mi aveva assemblato dopo la vittoria sul Brasile. La stessa a cui qualche giorno dopo chiesi di applicarmi il numero 20 su quella maglia azzurra in lanetta da sfoggiare nel campo spelacchiato delle scuole. È proprio vero: se i nostri ricordi precedenti a quella data sono in bianco e nero, quelli successivi sono a colori.