Covid, troppo tempo per sapere se si è positivi. E c’è chi ancora finisce in rianimazione per essere stato curato solo con tachipirina

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MANTOVA – Ci risiamo sono passati otto mesi da quando il Covid ha sconvolto le nostre vite ma su molti fronti sembra di essere rimasti al marzo scorso. Le testimonianze sono quotidiane e una arriva da un post del docente universitario mantovano nonchè ex consigliere comunale e ex assessore provinciale Alberto Grandi che oggi racconta:
“Venerdì sera comincio a sentirmi poco bene: tosse, raffreddore e qualche linea di febbre. Un anno fa, mi sarei limitato a indossare il mio cardigan da malato, frittatona di cipolle e non-stop di calcio fino a domenica. Ma mi viene la strizza e sabato mattina chiamo il mio dottore, il quale prontamente mi mette in lista per il tampone – spiega Grandi – Mi chiamano ieri a mezzogiorno e me lo fissano per stamattina alle 10,30. Nel frattempo a me è passato quasi tutto, mi è rimasta solo un po’ di tosse”.
“L’esito del tampone mi arriverà venerdì mattina – prosegue Grandi – Io sono un privilegiato: posso lavorare da casa (lo faccio da marzo), ho una casa grande che mi ha permesso di isolarmi dalla mia famiglia (e loro festeggiano), mia mamma non vive da sola ed è comunque decisamente autosufficiente e quindi per dieci giorni può fare a meno di me. Ma il restante 99% dei lombardi, come può accettare un sistema che ti tiene in ballo una settimana solo per dirti se hai o non hai il covid?”.
Un problema importante quello posto da Grandi per le molteplici ragioni illustrate le quali fanno intuire che da qualche parte si crea un imbuto che, se poteva essere tollerabile nei mesi passati, oggi non lo è più o almeno non lo è dopo aver sentito per un’intera estate le autorità sanitarie dire che tutto era stato potenziato e che certe situazioni non si sarebbero ripetute.
Ma il post di Grandi, tra i tanti commenti ricevuti, ne annovera uno che mette in evidenza un problema ancora più grande. E’ quello della giornalista Sabrina Pinardi che scrive:
“Una signora che conosco bene, con figlia e genero positivi e febbre alta, ha chiamato il suo medico. Questo le ha detto di prendere la tachipirina. La febbre non passava. Dopo qualche giorno ha chiamato un’ambulanza e ora è in terapia intensiva, in condizioni molto serie. Ci risiamo”.
Si ci risiamo appunto. Di fronte alla mancanza di cura per chi si ammala di Covid nei primi momenti che sono invece fondamentali. Quante volte abbiamo sentito in trasmissioni televisive, o letto articoli web o di giornali in cui illustri medici e scienziati ripetevano: “i pazienti devono essere trattati tempestivamente e questo vuol dire che vanno curati a casa.
Troppi i casi “in cui è stata prescritta solo tachipirina e alla fine i malati non riuscivano più a respirare – ha dichiarato tra i tanti Luigi Cavanna, primario di oncologia a Piacenza – chiamavano il 118 e arrivavano di corsa in ospedale. A quel punto i medici si trovavano di fronte ad un malato ormai quasi irrecuperabile. “Il virus – spiegava Cavanna – all’inizio si moltiplica, poi innesca una risposta immunitaria dell’organismo che determina una infiammazione che distrugge gli alveoli dei polmoni. In poco tempo gli organi si lacerano per sempre. Quando il danno è fatto, è difficilmente recuperabile. È per questo che poi tante persone non ce l’hanno fatta”.
Le dichiarazioni del primario piacentino risalgono a inizio maggio e sono riferite alla sua esperienza dei mesi da febbraio ad aprile durante i quali si è messo poi personalmente ad andare a domicilio per curare gli ammalati Siamo al 20 di ottobre ma, come ha riportato la collega Pinardi, a Mantova si finisce ancora in terapia intensiva dopo essere stati lasciati a casa a curarsi con la sola tachipirina…..