San Benedetto, le riflessioni al convegno sulle cure palliative: “Sono un diritto, non un’opzione”

SAN BENEDETTO PO – “Posso andarmene? Riflessioni sul diritto di morire”: questo il titolo dell’incontro che si è tenuto a fine giugno nella sala Sala Conciliare – Chiostro di San Simeone a San Benedetto Po.
Esperti di cure palliative, rappresentati della chiesa e psicologi si sono confrontati sul tema delle cure palliative che non sono riservate solo ai pazienti oncologici, ma anche a quelli terminali a causa di altre malattie.

“Le Cure Palliative intervengono quando il paziente non può più guarire ma si può ancora curare – ha spiegato il dottor Claudio Pegoraro, presidente “Gli Sherpa” associazione cure palliative domiciliari – Quando la malattia non risponde più alle cure: controllo del dolore, sintomi e problematiche psichiche, psico-sociali e spirituali. L’obiettivo è quello di migliorare la qualità della vita residua del paziente, lavorando anche insieme ai suoi famigliari e affini. Le cure palliative infatti sono un diritto, non un’opzione.
Gli Sherpa sono coloro che nelle spedizioni sull’Himalaya portano i pesi più grandi per tutti e che mettono in sicurezza il sentiero. A questo si sono ispirati nello scegliere il nome per l’associazione “Gli Sherpa”, nata dall’iniziativa di alcuni volontari.
La famiglia è al tempo stesso curante e paziente, va anch’essa presa in carico dall’equipe totalmente. Se ben gestita, la famiglia diventa risorsa terapeutica per il paziente”.

“Le famiglie pensano che il malato non possa sopportare la verità ma non sa che il malato sa, e deve portare il peso da solo – ha sottolineato Monsignor Paolo Gibelli – Medico Geriatra e Sacerdote Parrocchia Immacolata Concezione di Suzzara – Nei vangeli il tema della morte e di come viene vissuta da chi resta lo troviamo nell’episodio dei discepoli di Emmaus: Gesù li accompagna dopo che hanno assistito tristemente alla sua morte, e dialogando con loro, ascoltandoli, riesce a farli arrivare ad accettare e capire ciò che è successo. Accompagnare la famiglia del morente aiuta ad accettare la morte”.

“Il fine vita si riferisce alla fase terminale dell’esistenza di un individuo quando si avvicina alla morte. È un momento importantissimo ha spiegato nel suo intervento Antonella Beltrami – Psicologa Fondazione Hospice Modena Dignità per la vita “Cristina Pivetti” – È un’esperienza universale, che capiterà a tutti. Se non ne parliamo ci dimentichiamo di vivere. La vita è preziosa SEMPRE, e la morte ce lo ricorda.
Viviamo come se fossimo immortali, ma non diamo valore al tempo, alle relazioni, alla ricchezza del momento presente. La relazione col morente ci porta a vivere le nostre emozioni e ad affrontarle. In inglese ‘To cure’ significa curare, ma esiste anche un significato che in italiano non esiste, cioè ‘to care’, che significa prendersi cura nella relazione, condividendo il peso”.

“Cos’è una buona morte? Cos’è una cattiva morte? In solitudine, sofferenza, in luogo estraneo – è la riflessione a cui porta il dottor Giovanni Paganini – Dirigente Medico S.C. Medicina Interna Ospedale C. Poma – Borgo Mantovano – I bisogni del morente sono infatti: sicurezza, appartenenza (non sentirsi un peso, sentirsi necessari), amore, comprendere, sentirsi accettati, autostima.
Le cure palliative aiutano ad affrontare il dolore e a gestire la morte e il lutto.
Un ospedale per malati acuti accoglie persone che non dovrebbero essere in fine vita, pertanto non è sempre possibile, per come queste strutture sono impostate, dedicare a questi malati in fine vita le giuste cure e attenzioni. Servono tempi adeguati da dedicare al paziente, spazi che consentano un certo tipo di assistenza”.

“Quando non c’è più niente da fare si può e si deve fare ancora molto per dare sollievo a una persona malata e alla sua famiglia – conclude Gabriele Luppi – Oncologo, Presidente della Fondazione Hospice Modena – Si deve dare valore e dignità a ogni giorno di vita.
La qualità di vita è una percezione soggettiva…dipende dalle aspettative, dalle condizioni del paziente, in relazione ai propri obiettivi e desideri.
Quando non è più possibile curare un malato, anche lo specialista non sempre è preparato in questo passaggio, perché è come un fallimento del suo percorso di cura. È cruciale la relazione e la comunicazione con il paziente e i famigliari. E’ molto importante rispettare la persona e la sua speranza. Gli strumenti sono l’ascolto, l’empatia, la vicinanza. L’informazione sul fine vita non può essere uguale per tutti ma deve essere adattata alla persona”.

Da qui la parola “Hospice” che viene dal latino ‘hospitium’ e significa luogo di accoglienza.
Serve diffondere la cultura delle cure palliative non come trattamento finale di sola terapia del dolore ma come percorso completo di supporto.