Pasqua di fronte ai bivi creati dal Covid

Sembrava che la Pasqua di quest’anno ci portasse fuori dalla zona rossa, una piccola resurrezione e invece, no, restiamo rossi. Chi andrà in chiesa un po’di Resurrezione tutta interiore la potrà vivere; chi non ci andrà neanche quella.
Pasqua di vaccinazione? Un po’ a rilento pure quella. La situazione è quella che sappiamo e ci diciamo ogni volta che ci vediamo. Forse il clima psicologico è il più preoccupante: c’è stanchezza, disorientamento, nervosismo, vedremo se sapremo riprenderci, perché comunque anche la pandemia passerà. Il problema è come ci lascerà. Meglio o peggio? Succede come quando si esce da un gran dolore. La pandemia è stata dolore. Dolore per la morte, per le degenze ospedaliere, per i ricavi mancati, il futuro incerto, la disoccupazione.
Tutto questo è paura, disorientamento e cosa diventa la paura: è il disorientamento se non dolore. Dal dolore si può uscire in due modi: migliorati o peggiorati; dipende da noi. Il dolore ci mette alla prova come singoli e come collettività. Possiamo aver imparato, corretto gli errori, diventando più forti, oppure non aver imparato niente, continuando a ripetere gli stessi errori, divenuti più deboli e incerti.
Ci sono e ci saranno tanti problemi seri da affrontare a livello economico e sociale, ma il punto centrale è la mentalità, sono gli atteggiamenti di fondo, le abitudini mentali e pratiche. Il dolore può spingere a unirci; a sentire che soffriamo tutti, che siamo tutti deboli, che non siamo dei “draghi”, che in certe situazioni bisogna agire uniti, che ci sono cose che uniscono. La scienza: il dolore deve farmi capire che fa quel che può, ha bisogno di tempo, ci son dei limiti e si possono commettere errori. Non esistono vantaggi privi di qualche svantaggio: il vaccino ha meno svantaggi della broncopolmonite bilaterale interstiziale, però qualche rischio ce l’ha anche il vaccino, ma nella vita è sempre così. Posso uscire dal dolore con rabbia contro tutto e tutti, oppure con la volontà di aiutare chi ha sofferto come me. L’importante è imparare a dare senso e importante è proprio imparare a dare senso alle cose.
Non ci sono solo questioni tecniche, ma serve di più ancora valorizzare le centrali di senso, individuali e collettive. Chi capisce il senso di quel che accade è più forte di chi si arrabatta nei particolari; magari arrabbiandosi. È una questione di educazione e di sapere; vuol dire che fondamentali sono le centrali educative e quelle della conoscenza: queste danno sicurezza ed orientamento e lì bisogna metterci impegno e soldi. Pillole di saggezza a basso costo o predicozzi? Un po’, si, buona Pasqua,  ciascuno a modo suo.

Don Renato Pavesi è il Rettore della Basilica Concattedrale di Sant’Andrea di Mantova