“Raccogliamo l’eredità spirituale di Giuseppe”, folla in S.Andrea per i funerali di De Donno

MANTOVA  – Un lungo applauso questa mattina ha accolto l’arrivo del feretro di Giuseppe De Donno presso la scalinata di Sant’Andrea per i funerali. Applausi proseguiti poi anche all’interno della chiesa e che si sono ripetuti al termine della celebrazione.  Centinaia, infatti, le persone che hanno atteso il feretro davanti alla Basilica, ma altrettante erano all’interno da diverse ore.  Ad aspettare per l’ultimo saluto a Giuseppe De Donno, oltre alla moglie Laura, i figli Edoardo e Martina, moltissimi amici, conoscenti e autorità tra le quali il sindaco di Curtatone, Carlo Bottani; all’interno di S. Andrea altri amministratori  di oggi e di ieri di Curtatone, il sindaco di Mantova, Mattia Palazzi e il presidente del Consiglio Comunale di Porto Mantovano Roberto Mari, amico fraterno del medico scomparso.
Un’omelia toccante e pregna di significati quella pronunciata da don Cristian Grandelli, parroco di Curtatone, che ha salutato Giuseppe citando tra gli altri anche Don Mazzolari. “Siamo chiamati a raccogliere l’eredità spirituale di Giuseppe, affinché possa continuare a vivere in chi lo ha amato”, ha detto poi don Grandelli che ha aggiunto, “Vogliamo ricordare, cioè far salire dal profondo del cuore la storia di Giuseppe; figlio, marito, padre, medico, uomo impegnato in tante realtà della nostra comunità di Curtatone e non solo”.  Commozione ma anche tanta tristezza sui  volti delle persone presenti, gente che ha conosciuto e apprezzato De Donno sia come medico, sia come uomo: gentile, buono e pieno di umanità. Al rito funebre, con il gonfalone, anche una rappresentanza capeggiata dal sindaco della città di Lequile, paese che aveva insignito De Donno della cittadinanza onoraria.
Tra i banchi anche alcuni colleghi del Poma, Massimo Franchini, Gianpaolo Grisolia, Maria Teresa Costantino e Claudia Glingani.

 

L’omelia di don Cristian Grandelli

Letture ascoltate: Romani 6,3-8.11; Salmo 26; Luca23,44-46.
“Di te ha detto il mio cuore: Cercate il suo volto, il tuo volto, Signore, io cerco”. Questa frase del salmo 26 appena pregato, ci ricorda che ognuno di noi fà della sua vita una ricerca continua di felicità e di amore in tanti campi e che si concretizza nel volto e nella storia di uomini e donne che incrociamo nel tempo della vita.
Tutti siamo dei cercatori e la nostra fede nel Dio di Gesù Cristo ci dice che il Signore viene a cercarci per abitare in mezzo a noi. E cercare è faticoso, chiede tempo e delle tracce sicure. Tutto il vangelo di Giovanni ruota attorno alla domanda: “che cosa cercate?”
Noi oggi siamo qui per condividere il peso del dolore e per distribuirlo nel cuore di tutti, perché venga più consolazione per la morte di Giuseppe e ci lasciamo guidare dalla fede in Dio che si mostra nel corso della vita e non si è nascosto.
La nostra testimonianza di fede con le parole del salmista ci sprona a proclamare: “Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”. In Dio noi ci ritroviamo perché come scrive S. Agostino: L’uomo è un mistero, il suo cuore un abisso. E Solo Dio ci dona la pace.
La nostra presenza, la nostra preghiera è per confermare oggi alla famiglia di Giuseppe, che il nostro fratello vive nel Signore per il dono del battesimo che ha ricevuto e fatto crescere nella comunità cristiana, affinché possa ora “camminare in una vita nuova”. Vogliamo ricordare, cioè far salire dal profondo del cuore la storia di Giuseppe; figlio, marito, padre, medico, uomo impegnato in tante realtà della nostra comunità di Curtatone e non solo.
E ognuno di noi qui presenti e tanti in questi giorni hanno fatto questo. Siamo chiamati a raccogliere l’eredità spirituale di Giuseppe, affinché possa continuare a vivere in chi lo ha amato. “Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui” ci ha narrato l’apostolo Paolo scrivendo ai Romani.
Oggi in questa Eucarestia, vogliamo rinnovare la nostra professione di fede, perché siamo “viventi per Dio, in Cristo Gesù”. Don Primo Mazzolari si chiedeva: cosa vogliono da noi i nostri morti? E rispondeva così: per non lasciarci travolgere bisogna andare al di là con chi va’ invece di fissare il vuoto che è rimasto di qua e che cerca di inghiottirci. Infondo lasciare andare i nostri morti è andarci un po’ con loro. E’ pietà per noi, più che per i nostri cari che ormai godono la pace eterna.
Nella preghiera personale e comunitaria possiamo essere con Giuseppe nella vita nuova di Dio e questo per non lasciarci travolgere da quanto ci circonda ma per leggere con occhi nuovi carichi di compassione e di misericordia la sua e la nostra esistenza.
“Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?” dice l’autore del salterio e il cero di Cristo luce del mondo risplende accanto alla sua bara ne è il segno.
Allora la parola morte non è l’ultima parola e non ci fa paura perché se tutto mettiamo nelle mani grandi e forti del Signore, non possiamo temere. Per Giuseppe si apre l’esperienza: “di contemplare la bontà del Signore” e per noi si apre il tempo della speranza che lui vive in Dio.
Chiediamoci tornando a casa e portando nel cuore una preghiera per Laura, Martina, Edoardo e tutta la famiglia del nostro fratello, che cosa stiamo cercando, nel nostro quotidiano e nel volto degli altri? E il nostro pellegrinaggio è spedito o è appesantito di zavorre come paure, pregiudizi e tanto altro che non ci fanno camminare bene?
Nel giubileo dei medici dell’anno 2000 la preghiera composta da San Giovanni Paolo II così recitava: Concedici infine che… al termine del nostro pellegrinaggio terreno possiamo contemplare il tuo Volto glorioso e sperimentare la gioia dell’incontro con Te, nel tuo Regno di gioia e di pace infinita.
Caro Giuseppe, tu che ora puoi gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario, illumina i passi di coloro che ti amano, perché possano consegnare a Dio gioie, speranze e affanni della vita e sentire la forza dell’amore”.

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